QUARTET DIMINISHED – Deerand
QUARTET DIMINISHED – Deerand (Moonjune Records 2024)
Questa nuova proposta della Moonjune Records viene da lontano, come spesso è accaduto anche in passato per le produzioni di questa etichetta, la cui caratteristica, è di pescare non solo tra i talenti europei ed americani di quello che un tempo si definiva come jazz-rock, bensì di esplorare sonorità provenienti da paesi meno avvezzi a questi territori musicali. Dal Sudamerica all’estremo oriente, alla più vicina Turchia. Stavolta, con il cosiddetto quartetto diminuito del chitarrista Ehsan Sadigh, la Moonjune approda in Iran, o meglio, nell’antica Persia, visto che il titolo dell’album (doppio LP o singolo CD), Deerand, proviene da un termine persiano riferito alla durata dei toni di uno strumento musicale.
Il disco si compone di quattro brani, il cui fulcro è la lunga suite in quattro parti da cui il disco prende il titolo e che si snoda per ben venticinque minuti: Shadig è accompagnato dal pianista Mazyar Younesi, Soheil Peghambari si occupa dei fiati e alla batteria c’è Rouzbeh Fadavi.
Quattro sono i movimenti della suite in questione e si snodano tra parti introspettive, come l’inizio pianistico, e altri momenti più corali e ritmati in cui la fusione tra sonorità moderne ed elementi vagamente tradizionali diventa un autentico punto di forza, con la chitarra del leader che guida con sicurezza il quartetto verso un finale che suona come una sorta di bolero. Indubbiamente, con la composizione finale il brano più importante del disco.
Segue il brano Tehran II, seguito di una composizione apparsa altrove nella discografia del gruppo, qui la struttura è più dadaista, con la presenza dei paesaggi sonori orditi da Markus Reuter, artista fin troppo presente nelle pubblicazioni della Moonjune e forse sopravvalutato.
In Mirror Side, il brano più breve – comunque oltre i sei minuti – c’è il contrabbasso di Tony Levin, ospite che ritroviamo poi nella composizione finale, Allegro per il re: l’introduzione è anche qui giocata sul pianoforte, poi gli strumenti si alternano, Levin usa qui lo stick, e la struttura si evolve con un crescendo in cui fanno più volte capolino i richiami alla musica mediorientale e persiana.
Paolo Crazy Carnevale
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