MARBIN – Fernweh
Marbin – Fernweh (Radio Artifact 2021)
Decisamente i Marbin sono instancabili e i mesi di forzata inattività concertistica, per loro che trascorrono la maggior parte del tempo on the road, è stata uno stimolo a incrementare la produzione discografica.
Dopo il recente live a porte chiuse e il doppio album di studio Russian Dolls con due differenti concept, ecco il loro terzo disco del 2021.
Stavolta però l’asse si sposta decisamente verso la parte più tradizionale del loro sound, solitamente all’insegna di una miscela tra musica Yiddish e un jazz-rock molto personale che mette in evidenza le peculiarità dei due leader, il sassofonista Danny Markovitch e il chitarrista Dani Rabin, coadiuvati qui da Jon Nadel (al basso), è totalmente indirizzata altrove, niente elettrificazione e divagazioni jazz rock bensì un accorato omaggio al jazz e allo swing delle origini, filtrato però attraverso una visone musicale vicina al klezmer e alla musica di Django Reinhardt.
Il risultato è un disco pervaso da struggenti atmosfere nostalgiche – in tedesco il termine usato per intitolare il disco significa nostalgia per qualcosa di lontano – e acustiche.
La band di base a Chicago allinea in sequenza una dozzina di brani classici che trasudano di gypsy e dixieland, con chitarre e sax protagonisti assoluti.
Non v’è un solo brano fuori posto, dall’iniziale versione di Stardust all’immancabile Minor Swing (probabilmente la signature song di Django), eseguite con gusto inarrivabile e gioia di suonare totale. Ma ci sono anche un’entusiasmante I’ll See You In My Dreams, Nuages (di nuovo Reinhardt), Georgia On My Mind, All Of Me, Honeysuckle Rose e molto altro.
Attenzione però, non giudicatelo solo come un disco di standard, o cover che dir si voglia: il lavoro dei Marbin in Fernweh va otre e, soprattutto non suona come un disco di routine fatto per riempire un vuoto (i Marbin non ne avevano certo bisogno), quanto piuttosto un omaggio accorto ad un suono che viene da lontano e per cui, come il titolo appunto suggerisce, Rabin e Markovitch nutrono una certa nostalgia.
Paolo Crazy Carnevale
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