MARBIN – Russian Dolls / Ten Years In The Sun

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Marbin – Russian Dolls / Ten Years In The Sun (Marbin Music 2020)

Un doppio? Due dischi ben distinti! Questo CD uscito lo scorso anno sotto il nome del gruppo formato da Danny Markovitch e Dani Rabin e allargato di volta in volta a differenti sezioni ritmiche è il frutto di due progetti solisti, ciascuno ascritto ad uno dei due musicisti, progetti covati a lungo nel tempo ma che solo a causa dell’isolamento forzato imposto dalla pandemia hanno visto la luce.
I due Marbin (il nome è un’evidente crasi tra i cognomi dei due leader) infatti, costretti al caserma rest e allo stop dell’attività concertistica hanno ciascuno dato sfogo alla propria vena compositiva con questi due brevi lavori (avrebbero potuto stare entrambi su un solo disco, ma data la diversità e la paternità dei progetti sono stati giustamente pubblicati su due supporti), rigorosamente improntati il primo sul sax di Markovitch ed il secondo sulla chitarra di Rabin.
I due musicisti di Chicago, come per i dischi in gruppo si affidano al miscuglio tra jazz e tradizione, fedeli all’adagio che il miglior jazz ha un piede nella tradizione ed uno nell’innovazione: questo in particolare accade nel primo dei due dischetti, in cui Markovitch e il suo sassofono sono protagonisti lasciando il contributo di Rabin all’accompagnamento sia con chitarra che con il basso, lasciando piuttosto spazio al batterista Antonio Sanchez (titolare di quattro Grammy) nei momenti in cui il jazz si fa più preponderante, come in Years That Ask Questions o nella speculare Years That Answer. Ma altrove, When There Becomes Here e Yellow Roman Candles lo stile legato alla musica ebraica sviscerato molto bene nei dischi dei Marbin emerge con prepotenza, Ship At A Distance è per contro una slow ballad d’effetto, mentre il brano che conclude il disco, Things Of Dry Hours vira verso il tango argentino virato yiddish.
Il discorso cambia col disco accreditato a Rabin, un disco per sola chitarra, più staccato dalle sonorità Marbin, stessa durata del disco del socio ma i brani sono il doppio, più brevi, più intimi. Un viaggio sonoro differente: se nelle matrioske di Markovitch il concept di fondo era legato appunto alle bambole russe viste non come una famiglia ma come una serie di ego differenti che si contengono uno nell’altro, nei piccoli viaggi acustici incastonati da Rabin nel suo Ten Years In The Sun il chitarrista mette insieme una raccolta di appunti musicali messi insieme in dieci anni di viaggi musicali, quasi dei brevi sketches resi mirabilmente col solo aiuto di una cristallina chitarra acustica, For Soraya, Down And Out In Barcelona, Sandbox World, Polish Winter sono esempi di brani senza classificazione, senza età; altrove, come Strong Wind o Mom’s Song ci troviamo al cospetto di frammenti molto raccolti, November Guest ha nascosti in sé vaghi richiami di quella musica della tradizione ebraica così evidente nel suono Marbin. E non mancano le composizioni marcatamente jazz, dalla finale The Last Thing alla title track, a Shadow Waltz.
I due dischi, venduti in forma solida come doppio, sono acquistabili in forma liquida anche separatamente.

Paolo Crazy Carnevale

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