JONATHAN WILSON – Dixie Blur

Jonathan Wilson Dixie Blur 1 (1)[265]

JONATHAN WILSON – Dixie Blur (Bella Union 2020, 2 LP)

Ci voleva un disco così per Jonathan Wilson, dopo le perplessità lasciate dal suo LP precedente che avevano lasciato l’amaro in bocca a chi aveva apprezzato i suoi Gentle Spirit e Fanfare, nonché un paio di suggestivi EP usciti in occasione di passati Record Store Day e Black Friday.

Wilson, che è soprattutto un grande manipolatore di consolle e creatore di suoni ci aveva abituati ad un sound moderno ma dalle radici ben piantate negli anni settanta e nei tardi sessanta: echi di Grateful Dead, Pink Floyd, ma anche del grande cantautorato californiano erano stati alla base dei suoi dischi più applauditi, e negli EP aveva dimostrato di saper scegliere anche azzeccate cover per nulla scontate da proporre al suo pubblico.

Spostatosi dalla West Coast al Tennessee, ora Wilson mette sul piatto una quindicina di nuove tracce registrate a Nashville con l’aiuto di musicisti del posto e del producer Pat Sansone, con cui divide i crediti in sede di regia. Nashville vuol dire country music, ma non solo, vuol soprattutto dire studi molto professionali ed al tempo stesso a misura d’uomo e vuol dire musicisti in grado di riprodurre qualunque atmosfera sonora, con umiltà e professionismo, senza sbavature e sempre all’altezza della situazione.

E questa è la caratteristica principale del disco, che ci restituisce le buone cose del Jonathan Wilson che abbiamo apprezzato sui dischi succitati e nelle sue rare apparizioni dal vivo (ricordiamo in particolare quelle come apripista per Tom Petty & The Heartbreakers nel tour che portò la band in Italia per l’ultima volta nel 2012).

I dischi di Wilson non sono fatti di canzoni memorabili, per quanto ogni brano sia cantato, sono dischi di grandi atmosfere e di suoni spettacolari, e questo Dixie Blur segue una ricetta ben collaudata: Wilson per creare un ponte con Fanfare (che ospitava David Crosby, Graham Nash, Jackson Browne, Mike Campbell, Benmont Tench) ha pensato bene di iniziare la scaletta con una cover, ma non una cover scontata e stra-ascoltata, bensì un brano dei Quicksilver Messenger Service, quella Just For Love che intitolava il loro disco del 1970, quando Dino Valenti (autore del brano) aveva assunto il comando della formazione. La versione di Wilson supera l’originale, pur non cambiando molto, l’esecuzione è commovente, cantata con ispirazione, con tanto di flauto suonato da Jim Hoke e con grande lavoro di pedal steel (l’incredibile Russ Pahl) e con l’elettrica un po’ nascosta di Kenny Vaughan (dei Fabulous Superlatives di Marty Stuart), il brano si dipana in un crescendo che conquista fin dal primo ascolto, lasciando poi il posto alla prima delle composizioni originali (tutte le altre in pratica), la bella 69 Corvette sorretta dal violino del veterano Mark O’Connor, che duetta con la pedal steel (stavolta la suona Joe Pisapia) mentre Wilson e Sansone arpeggiano con le acustiche e rifiniscono le atmosfere a suon di mellotron: il risultato è una delle più riuscite cose del disco. Segue New Home, brano ancor più soffuso, di nuovo con Pahl e Vaughan, col piano di Drew Erickson più in vista che non nei due brani precedenti.

Il lato 1 si chiude con l’eccellente So Alive, con Wilson particolarmente ispirato, impegnato all’acustica ritmica e alla dodici corde elettrica, di nuovo con un bel pianoforte e soprattutto con Mark O’Connor che oltre a suonare il violino si produce in un entusiasmante assolo di acustica: un’altra delle perle del disco.

Voltando il vinile (color verde menta), incappiamo nella prima traccia in cui fa deliberatamente capolino la musica di Nashville: In Heaven Making Love coniuga bluegrass e atmosfere da avanspettacolo, non è una delle cose migliori nel disco ma entra facilmente in testa e se il violino di O’Connor è la guida del brano, le elettriche di Wilson e Vaughan si spingono in interventi più azzardati. Oh Girl inizia come una lenta ballata pianistica, in cui Wilson e Sansone (qui in veste di bassista, mentre la pedal steel di Pahl tesse il sottofondo) coinvolgono di nuovo Jim Hoke sia al flauto che ad una serie di armoniche dal suono diverso, riconducendo maggiormente ai suoni che avevamo apprezzato in Fanfare. Atmosfere vagamente marinare sono alla base di Pirate, con Wilson impegnato con varie chitarre e O’Connor protagonista di un dolente assolo di violino
Il secondo disco si apre con le atmosfere elaborate di Enemies, una composizione dal refrain accattivante, con chitarre in evidenza ed un’intera orchestra tutta suonata da Wilson con una Arp String Machine. Fun For The Masses è un lento valzer dominato dalla pedal steel (sempre Russ Pahl) e dall’elettrica di Vaughan, mentre il titolare si dedica ad acustica e mellotron. Meno interessante dal punto di vista della struttura risulta Plattform, in cui comunque rimane sempre molto riuscita l’amalgama sonora, meglio il brano che chiude il lato 3, il blues Riding The Blinds, blues in chiave Jonathan Wilson ovviamente, un brano lento e cadenzato, cantato con passione con citazioni di titoli di classici blues nel testo, con uno spettacolare organo suonato da Wilson stesso, e ovviamente lavoro di fino da parte di Pahl e Vaughan quando il brano accelera concedendosi un breve bellissimo break tipicamente country, prima di rallentare per il finale.

Il country irrompe nel brano che apre l’ultima parte di Dixie Blur, col titolo di El Camino Real Wilson mette in pista un’altra composizione in cui lui forse non è propriamente a proprio agio, ma lo sono decisamente i suoi accompagnatori, O’Connor e Vaughan su tutti (niente pedal steel qui). Golden Apples è struggente, intima, sussurrata, con Jim Hoke di nuovo protagonista con l’armonica cromatica e il flauto, Wilson suona la slide mentre Vaughan si occupa qui dell’acustica e Pahl da ulteriore saggio della propria bravura.

Il disco si chiude con Korean Tea, un brano senza strofe, ma non recitato, ancora con Vaughan all’acustica che ricama sul tappeto creato da Pahl, dal mellotron del producer e dal sempre ben inserito pianoforte di Drew Erickson.

Ribadisco, non un disco di canzoni memorabili, ma di suoni penetranti e coinvolgenti da ascoltare e riascoltare lasciandosi rapire senza remore.

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