TINSLEY ELLIS – Ice Cream In Hell

Tinsley Ellis ice cream in hell[72]

TINSLEY ELLIS – Ice Cream In Hell (Alligator/IRD 2020)

A due anni dal precedente Winning Hand, il bluesman Tinsley Ellis sforna un nuovo convincente disco di robusto rock blues chitarristico, il secondo dopo il suo ritorno in seno all’Alligator, la casa discografica che lo aveva tenuto a battesimo negli anni ottanta e presso cui era ritornato una prima volta tra il 2005 ed il 2009.

Sotto la produzione di Kevin McKendree, all’insegna di un rapporto professionale consolidato, e con l’accompagnamento della band che aveva suonato nel lavoro precedente, Ellis conferma il suo stato di grazia: il suo stile musicale è di matrice sudista come è naturale aspettarsi da un musicista che proviene dalla Georgia, ma non disdegna di occhieggiare al sound di Chicago (sede della label presso cui è accasato), mescolandolo con adeguate influenze soul che ben si addicono alla sonorità sudiste della band.

Ed è proprio nella title track che questo connubio emerge perfettamente, Ice Cream In Hell è un corposo blues in cui il cantato roccioso di Ellis e la sua chitarra spadroneggiano insieme alle tastiere dell’ottimo McKendree, che oltre a produrre suona piano e organo.

Già col brano d’apertura si era percepito l’humus del disco, Last One To Know è infatti una composizione molto riuscita – arricchita dalla presenza di una ridotta sezione fiati in stile Stax – più della seconda traccia, la nervosa Don’t Know Beans.
Dopo la title track Foolin’ Yourself si presenta come un brano dalle forti influenze chicagoane, poi tornano i fiati nella sofferta e chitarristicamente lancinante Hole In My Heart, di sicuro uno dei pezzi forti del disco: McKendree tiene al tempo stesso il sottofondo d’organo e ricama col piano, mentre la voce di Ellis si dispera e la sua chitarra lancia strali devastanti con tanto di citazione di una marcia funebre.

Meno interessante, anche se indubbiamente accattivante col suo ritmo che incalza, la veloce Sit Tight Mama, con Ellis impegnato alla slide, molto meglio No Stroll in The Park con un lungo intervento d’organo del produttore, che è protagonista anche nel funk energico di Evil Till Sunrise; in Everything And Everyone sembra che Ellis voglia omaggiare Peter Green, con una composizione vagamente latin che non piò far venire la classica Black Magic Woman, indubbiamente piacevole ma la sfida è impossibile. Unlock My Heart viaggia sui binari di Sit Tight Mama, senza la slide e col tempo appena meno ritmato. Il finalone è all’insegna dei quasi sette minuti della struggente Your Love’s Like Heroin, introdotta da un organo chiesastico su cui la chitarra piange come si deve, indubbiamente una composizione di facile presa, con l’andatura che ricorda qualcosa di Roy Buchanan.

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