JIMMY RAGAZZON – Songbag

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JIMMY RAGAZZON
SONGBAG
Ultrasound Records 2016

Fondatore e leader dei pavesi Mandolin’ Brothers, uno dei tesori (putroppo) nascosti della musica roots italiana dalla fine degli anni settanta, bibliotecario nella vita, appassionato cultore di musica, letteratura e cultura in generale, Jimmy Ragazzon è finalmente riuscito a pubblicare il suo primo album solista, un altro sogno impossibile diventato realtà (come scrive nelle note del booklet).

Questo disco lo aveva in testa da molto tempo ed è il frutto di una serie di canzoni scritte nel corso degli anni e messe da parte in una borsa virtuale (la songbag) che finalmente è stata svuotata negli studi della Ultra Sound di Belgioioso (PV) con la produzione di Stefano Bertolotti e il mixaggio negli Usa da parte dell’amico Jono Manson. A un primo sguardo non ci sono molte differenze dai dischi dei Mandolin’ Brothers.

Il principale collaboratore è il chitarrista della band Marco Rovino che ha scritto due brani con Jimmy; inoltre partecipano altri due membri del gruppo, Joe Barreca e Riccardo Maccabruni. Tuttavia il cuore della band (The Rebels) che accompagna Ragazzon (voce, armonica e chitarra acustica) è formato da Rino Garzia (basso), Paolo Ercoli (dobro), Luca Bartolini (chitarra acustica) e da Rovino. Songbag è un disco acustico, senza batteria (e in questo differisce dai Mandolin’ Brothers), prevalentemente folk con accenti bluegrass, country e roots, un disco intimo, personale, con dei testi significativi parzialmente autobiografici che conferma la bravura e l’integrità del suo autore. Dieci brani, nessun riempitivo, un suono pulito nel quale si sente quasi il legno degli strumenti (fotografato anche all’interno della copertina).

Otto brani autografi e due covers che rappresentano due influenze decisive per Jimmy: un’eccellente Spanish Is The Loving Tongue (Bob Dylan) nella quale brillano l’armonica e il violino di Chiara Giacobbe e una The Cape (Guy Clark) fedele all’originale. Tra le altre tracce spiccano l’opener D Tox Song con un suono che mi ha ricordato David Grisman e riusciti intrecci vocali, l’intima Old Blues Man con un testo sofferto e coinvolgente, Dirty Dark Hands sul problema dell’immigrazione, la dura Sold, accusa a un mondo nel quale tutto è in vendita arrangiata con morbida malinconia (e l’apporto della lap steel di Roberto Diana) e la scorrevole Evening Rain, un altro brano in cui ad un accompagnamento musicale rilassato si contrappone un testo di denuncia, in questo caso sulla povertà e sull’emarginazione. Niente male anche il blues Going Down con la chitarra di Maurizio “Gnola” Gliemo, mentre la conclusiva ballata In A Better Life, soffusa e sofferta, è nobilitata da un’armonica preziosa.

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