WALTER TROUT – We’re All In This Together

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WALTER TROUT
WE’RE ALL IN THIS TOGETHER
Mascot/Provogue 2017

Walter Trout è un miracolato, un uomo al quale è stata concessa una seconda occasione dalla sorte, dalla bravura dei medici o da un’entità superiore. Nel giugno del 2013 mentre è in tour in Germania si sveglia di notte con le gambe gonfie di liquido. Gli viene diagnosticata una cirrosi epatica, causata da anni di stravizi. Si cura con fatica, ma il fisico deperisce finchè nel marzo del 2014 crolla. Ricoverato nel centro specialistico della Ucla, apprende che l’unica possibilità di salvezza è un trapianto di fegato entro 90 giorni. Raccoglie i 125.000 dollari necessari con un crowfunding (la mancanza di coperture sanitarie in Usa non è una novità…) e il 26 maggio viene operato. Il recupero è durissimo, come abbiamo raccontato in LFTS n. 120, ma con grande tenacia si riprende, aiutato dalla moglie Marie e dai figli. Pubblica The Blues Come Callin’, iniziato prima della malattia e finito dopo tra mille ostacoli e Battle Scars, che racconta nei testi le sue paure, le sofferenze e la battaglia per sopravvivere. Sono due dischi faticosi, tosti, drammatici, nei quali musicalmente Walter si affida al rock-blues muscolare che lo ha sempre contraddistinto. Battle Scars vince un Blues Music Award come miglior album rock-blues del 2016 e viene seguito dal doppio dal vivo Alive In Amsterdam che celebra il ritorno sul palco, testimoniando un tour emozionante e di grande successo, anche se non è il suo disco dal vivo più riuscito.

Superata l’emozione del ritorno, è giunto il momento di pubblicare un disco più positivo ed eccitante. Walter ha richiamato un gruppo di amici, anche per ringraziarli del supporto, incidendo un seguito di Full Circle (Ruf 2006), nel quale era accompagnato da ospiti come John Mayall, Jeff Healey, Eric Sardinas, Coco Montoya e Joe Bonamassa. Questa volta la maggior parte delle registrazioni sono state fatte separatamente, utilizzando i mezzi offerti dalla tecnologia, ma l’impressione è che siano tutti nello stesso studio, tanto è il calore emanato dal disco, nettamente superiore a quello del 2006. Prodotto da Eric Corne e suonato da una band formata da Sammy Avila (tastiere, con Trout dal 2001), Mike Leasure (batteria, con Trout dal 2008) e Johnny Griparic (basso) è un disco entusiasmante, con dei brani e degli arrangiamenti studiati per mettere a proprio agio gli ospiti.

La partenza è esplosiva con l’energetico rock-blues Gonna Hurt Like Hell nel quale si incrociano le chitarre di Walter e Kenny Wayne Shepherd, il boogie Ain’t Going Back, un duetto con la voce e la raffinata slide di Sonny Landreth, lo splendido slow The Other Side Of The Pillow, un duetto da antologia con l’armonica e la voce di Charlie Musselwhite e la scorrevole She Listens To The Blackbird Sing con Mike Zito, che ci riporta al suono sudista dei seventies di Allman Brothers e Marshall Tucker Band. Dopo lo strumentale Mr. Davis nel quale si confrontano lo stile ruvido di Trout e quello più raffinato di Robben Ford, si prosegue con la superba riedizione di The Sky Is Crying dove Walter duetta alla grande con Warren Haynes.

La parte centrale del disco registra un paio di episodi minori con Eric Gales e Joe Louis Walker, ma anche il pregevole soul She Steals My Heart Away con il sax di Edgar Winter e l’energico up-tempo Too Much To Carry con l’armonica di John Nemeth. Nel finale spiccano Blues For Jimmy T., duetto acustico con John Mayall (Trout è un ex componente dei Bluesbreakers) e la title track, nella quale il musicista di Ocean City ingaggia un duello con la chitarra di Joe Bonamassa. Trout ha dichiarato: “ho 66 anni, ma mi sento nel periodo migliore della mia vita. Fisicamente mi sembra di avere molta più energia rispetto al passato. Inoltre apprezzo molto di più il fatto di essere vivo, il mio mondo, la mia famiglia, la mia carriera”. Questo disco ne è la dimostrazione: pieno di gioia, entusiasmo e voglia di vivere e, soprattutto, di rock-blues energico e coinvolgente.

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