THE REFUSERS – Wake Up America

the refusers[173]

THE REFUSERS
Wake Up America
Autoprodotto 2016

I Refusers sono la creatura di Michael Belkin, autore, cantante e chitarrista che, dopo anni di esperienza come turnista a Los Angeles, si è trasferito a Seattle formando quattro anni fa la band con Steve Newton (basso) e Joe Doria (organo hammond e piano), raggiunti per registrare questo album da Brendan Hill, batterista dei Blues Traveler. The Refusers sono una band di rock politicamente schierata. Si evince chiaramente dal titolo del disco e di molte canzoni e dalle dichiarazioni del leader: “il rock dovrebbe essere pericoloso e sfidare i poteri dominanti, come ha fatto Edward Snowden con la NSA o le Pussy Riot con la Russia e Putin. Troppa musica contemporanea è pop inoffensivo fatto con lo stampino, con banali trucchi per arrivare al n. 1 e poi lasciarsi cadere come una pietra, per essere subito dimenticato. Noi vorremmo scuotere l’albero e risvegliare le coscienze nei confronti delle ingiustizie politiche ed economiche. Il rock dovrebbe fare questo”. Da questo punto di vista ricordano band come Rage Against The Machine, mentre musicalmente scelgono un rock che non dimentica il valore della melodia, con una chitarra e una voce piuttosto dure, sempre senza esagerare. A livello compositivo devono migliorare; il disco è alterno e il messaggio molto diretto (forse anche troppo) trova solo a tratti un veicolo attraente per raggiungere il pubblico.
Born To Rock apre il dischetto e si può considerare uno dei manifesti del gruppo. Brano secco, grintoso, con un chiaro messaggio di ribellione verso lo status quo, ribadito dalla robusta Wake Up America, nella quale spiccano una chitarra espressiva e un apprezzabile sottofondo di hammond. You Won’t Read It In The Ny Times con Doria al piano sovrappone un messaggio duro nei confronti dell’informazione ufficiale ad una musica piacevole e morbidamente bluesata con un sax insinuante, mentre Hang The Bankers (i testi di Belkin non si possono definire sottili…) è un rock rabbioso con venature punk e Go Back To Sleep una ballata che ricorda la scrittura di Ian Hunter. Il disco sembra sparare le cartucce migliori nella prima parte o forse, più semplicemente, si ripete troppo, appesantendo l’ascolto nei brani successivi. Anche il tentativo di variare lo stile con un po’ di reggae e di dub, con una traccia jazzata e qualche scheggia rappata non sembra molto ispirato.
In chiusura la ballata Professor Friedman’s Magic Money Contraption riaccende un po’ di interesse, ma il dischetto offre solo qualche spunto interessante, senza incidere come vorrebbe.

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