DAVID CROSBY – Lighthouse

Croz Lighthouse 01[123]

DAVID CROSBY – Lighthouse (Verve/GroundUp 2016)

Forse vi farà ridere, ma il 2016 sia stato in qualche modo l’anno di CSNY: se la memoria non mi inganna credo sia stata la prima volta che nello stesso anno si siano visti dischi solisti di ciascuno dei quattro signori celati dietro la gloriosa sigla.
Non solo, credo anche che, a conti fatti, escluso il discutibile live di Neil Young, che le quattro prove di studio siano tutte dignitose, anche molto più che dignitose, e che in alcuni casi siano anche venute fuori delle signore canzoni.

La sorpresa più bella è forse questo disco di Crosby, un po’ per la bontà del contenuto, un po’ perché il baffuto canuto non è mai stato molto prolifico ed invece ad appena due anni dal disco precedente ci ha offerto questa nuova raccolta di canzoni che trovo molto più bella di quella del 2014. Non che Croz fosse un brutto disco, ma per i miei gusti era troppo laccato, sovrarrangiato, fastidioso nella sua impeccabilità, con le canzoni scritte in tandem da Crosby con i suoi collaboratori , gente il cui modo di scrivere musica è lontano anni luce da quello del Crosby solista che abbiamo amato in passato.

Stavolta Croz si è affidato alla partnership di un jazzista come Michael League (Snarky Puppy) e, udite udite!, è riuscito a fare un disco molto meno jazz dei precedenti (il disco del 2014 soffriva di quegli eccessi di sofisticazione che si potevano riscontrare ampiamente anche nella discografia dei CPR), atmosfere molto acustiche, soprattutto chitarre, un po’ di basso, qualche misurata intromissione dell’elettrica, organo azzeccatissimo e coriste nel finale.

Posto che il Crosby del primo disco (capolavoro inarrivabile, non si discute) e dei dischi degli anni settanta con Nash e gli altri soci era un’altra cosa, Lighthouse è il suo disco che ci restituisce maggiormente le composizioni ed i suoni di allora, senza esserne in alcun modo una copia a carbone: si tratta di un disco affascinante, avvolgente, dominato dagli arpeggi acustici e dalla sempre eccelsa voce che ben sappiamo. Va detto anche, a onor del vero, che non è un disco senza ombre, ma alla fine sono di più i pregi e questo basta. Quello che manca qui sono i cori e le armonie vocali, d’altronde sappiamo che la frattura tra Crosby e il suo compadre di armonie pare ormai insanabile e quindi il guru della musica californiana deve fare tutto da solo o con Michael League che per quanto ce la metta tutta non è certo Graham Nash; per il resto però c’è davvero quasi tutto, la voce, gli intrecci di chitarre, i testi introspettivi in cui si avverte l’urgenza di Crosby di fare fronte agli anni che ormai passano alla velocità della luce senza lasciare nulla di incompiuto.

League non è l’unico partner a livello compositivo del disco, in un brano le liriche sono opera di Marc Cohn e in uno la musica è di Becca Stevens (a sua volta proveniente dal giro Snarky Puppy), inoltre due canzoni sono a firma del solo Croz, e guarda caso sono tra le cose migliori del disco insieme al brano scritto con la Stevens.

Quaranta minuti, come si faceva una volta, nove brani: Lighthouse si apre con la buona Things We Do For Love, composizione nelle corde del Crosby più recente, The Us Below, che la segue è meglio, caratterizzata dalle belle chitarre e da elaborazioni armoniche molto riuscite, come ci si poteva aspettare dal titolare del disco. Drive Out To the Desert è più scarna, è firmata da Crosby in solitudine e ci sono solo le chitarre acustiche. Look In Their Eyes è il brano che mi piace meno, per via dell’atmosfera bossa nova che è parecchio lontana dai miei gusti, per altro però la performance vocale di David è notevole, forse una delle più interessanti e riuscite di tutto il disco. A chiusura del lato A (il disco è uscito anche in vinile per fortuna) c’è Somebody Other Than You altra canzone riuscita, abbastanza incalzante e con le chitarre in evidenza, peccato che nei cori si avverta decisamente la mancanza di un armonizzatore come Nash.

Voltiamo il disco e troviamo The City, stavolta la musica è tutta di Michael League, Croz è responsabile solo di parte delle liriche, il brano comunque gli calza addosso bene e può contare su un insinuante organo, opera di Cory Henry (anch’egli del giro Snarky Puppy), che si inserisce su armonie vocali più azzeccate di quelle del brano precedente, e poi c’è un break di chitarra elettrica di League che qui sembra voler citare a bella posta lo stile di Stephen Stills. Il brano composto con Marc Cohn è l’apprezzabile Paint You A Picture, una composizione molto intimista con le chitarre in punta di piedi e col piano di Bill Laurance ancor più soffuso; What Makes It So è invece il secondo brano con la firma del solo Croz ed è una delle perle del disco (ma sono molti i picchi alti di questo Lighthouse), ancora con l’organo che s’intrufola sapientemente, cantato da Crosby con voce ispiratissima e un bel lavoro delle chitarre rigorosamente acustiche: a tratti sembra addirittura di essere all’ascolto del primo disco di CSN, quello del divano, tanto il brano è classico nella sua struttura. La chiusura è affidata a By The Light Of Common Day con Crosby che scrive le liriche per una musica della Stevens, un gran brano, con le voci dei due autori supportate da quella di Michelle Willis, cantautrice canadese: il risultato è una canzone molto riuscita, decisamente in odore della west coast più tipica, degno suggello di un disco tanto bello quanto inatteso.

Tags:

Non è più possibile commentare.