ZHONGYU – “Zhongyu” Is Chinese For “Finally”

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ZHONGYU – “Zhongyu” Is Chinese For “Finally” (Moonjune 2016)

Nella fattispecie, il “finally” del titolo è riferito al fatto che il polistrumentista americano Jon Davis ha “finalmente” una sua band, e il nome di questa band è chiaramente Zhongyu: andando più nel dettaglio la band è formata da alcuni membri di una band già operativa da qualche anno e con diversi dischi in catalogo proprio per la stessa label che ha dato alle stampe questo disco, si tratta dei Moraine guidati da Dennis Rea.

E se c’è di mezzo il nome di Rea, si tratta già una buona garanzia perché nelle sue diverse emanazioni (i dischi da solo, con i Moraine, come Iron Kim Style) questo artista ha sempre prodotto delle cose interessanti; qui poi siede anche in veste di produttore a fianco di Davis ed il risultato è un nuovo interessante affresco composto da contaminazioni tra musica orientale e influenze di chiara matrice rock/prog/fusion che affascinano l’ascoltatore, non senza scivolare di tanto in tanto in rumorismi di matrice industrial rock (Half Remembered Drowning A Dream, Torture Chamber Of Commerce, Cat Hair All Over It).

Ma Rea e gli altri Moraine qui coinvolti sono di fatto la backing band, i brani sono tutti farina del sacco di Davis che destreggiandosi tra mellotron, stick e guzheng, una cetra cinese usata per la musica tradizionale, ha composto i brani del disco come sunto di tre anni di vita a Pechino, che gli hanno permesso di entrare profondamente in contatto con la cultura e la musica del posto.

Il disco poi è stato registrato a Seattle, città dove i Moraine e Rea sono di base, e suona come una lunga suite dai suoni diversificati che ondeggiano tra le sonorità prog delle chitarre di Rea e strumenti come appunto il guzheng, il violino di Alicia DeJoie e i flauti di James DeJoie.

Particolarmente riuscito è il mix oriente/occidente di Iron Rice Bowl Has Rusted, titolo molto curioso, e che dire delle varie sfumature della lunga Hydraulic Fracs, dal ritmo incalzante, con un flauto che a tratti sembra ricondurre ai vecchi Jethro Tull (ma qui tutto è prettamente strumentale) e con una chitarra elettrica particolarmente ispirata. Il brano sfocia nella più eclettica e ostica Tunnel At The End Of The Light, baciata anch’essa dal dualismo flauto/chitarra, ma stavolta su territori completamente differenti. Apple Of My Minds Eye 1 si trova curiosamente a metà disco, mentre il brano omonimo col numero 2 stava in apertura, ma se il 2 era più sul versante sperimentale, con la versione 1 Davis e soci sono decisamente immersi nell’oriente e tutto il brano è giocato sul dialogo tra il violino della DeJoie e sulla cetra a 21 corde suonata da Davis. Tra le composizioni particolarmente riuscite vanno citate anche Sleepwalking The Dog (non c’è che dire, Davis ha un gusto per i titoli strambi), molto corale nell’esecuzione in cui tuti gli strumenti emergono con la stessa importanza, Wonderland Wonderlust, di nuovo fortemente influenzata dai suoni orientali ma con un’evoluzione ad occidente con la chitarra e la sezione ritmica che si mescolano al violino e al guzheng in un crescendo incalzante.

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