LUCINDA WILLIAMS – The Ghosts Of Highway 20

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LUCINDA WILLIAMS – The Ghosts Of Highway 20 (Thirty Tigers/Highway 20 Records 2016)

E chi se lo aspettava un altro disco così bello a ruota del capolavoro di un anno e mezzo prima? Evidentemente la Williams sta attraversando un periodo baciato da un’ ispirazione molto profonda per riuscire a dare alla luce in così poco tempo la bellezza di due dischi del genere, due dischi tanto differenti eppure strettamente collegati: Ghost Of Highway 20 inizia infatti laddove si chiudeva il su predecessore.

Mi spiego: Where The Spirit Meets The Bone era un disco di chitarre dal solido background rock, tante chitarre suonate da tanti ospiti di riguardo, ognuno a pennellare le composizioni della cantautrice della Louisiana; proprio in conclusione di quel disco stava una drammatica e intensa rilettura della Magnolia di J.J. Cale, con le chitarre di Bill Frisell e Greg Leisz a dettare legge, Ghosts Of Highway 20 è un altro disco di chitarre molto più intimo, meno rock e ad accompagnare la titolare – con l’eccezione di due brani in cui appare Val McCallum – le chitarre sono solo quelle di Frisell e Leisz il cui affiatamento è già comprovato dalle numerose incisioni dello stesso Frisell a cui Leisz ha preso parte negli ultimi anni, oltre che naturalmente dalla citata Magnolia.

Con questi due fuoriclasse al suo servizio per tutto il disco e con la stessa sezione ritmica usata in Magnolia, Lucinda Williams ci consegna un disco desertico come pochi, quattordici brani in tutto, con la sua voce che si trascina stancamente attraverso lande desolate e paesaggi come quelli suggeriti – oltre che da decine di pellicole polverose – dalle foto usate per la copertina del disco (due vinili, un cd).

Fin dall’iniziale Dust, un titolo che già lascia sottintendere tutto, capiamo dove stia andando a parare la Williams con questi spettri che abitano l’autostrada numero 20, quella che dalla Louisiana porta in Texas, autostrada che la Williams deve aver percorso un’infinità di volte, come anche il testo della title track lascia capire: “Conosco questa autostrada come il dorso delle mie mani…”

Nel primo disco ci sono poi House Of Earth, un brano costruito su un testo inedito di Woody Guthrie, I Know All About It e il valzer country Place In My Heart in cui il suono si fa un po’ meno scarno, sorretto dagli armonici della sei corde di Frisell. Il lato B è inaugurato dall’immensa Death Came, uno dei brani chiave dell’intero disco, dominato dall’alone cupo dettato dalle recenti scomparse del padre e del suocero della Williams, entrambi dedicatari di Ghosts Of Highway 20. Segue la litania di Doors Of Heaven in cui il ritmo si fa più sostenuto, con una terza chitarra elettrica suonata dalla Williams e Leisz che si occupa della slide, Louisiana Story è un altro valzer, di quasi dieci minuti, lento e strascicato, ricco di immagini di un’America perduta e impolverata, che va a chiudere il primo dei due vinili.

Il secondo disco si apre col brano che intitola il lavoro, un’altra carrellata di paesaggi, motel, macchine usate e immagini sbiadite che scorrono lungo le due corsie dell’autostrada eponima. Bitter Memory è un bel country rock energico, con solo la Williams ed i due chitarristi a girare sul piatto, ma il risultato è una delle cose migliori dell’intero disco, una specie di esortazione ai brutti ricordi a farsi da parte, cantata con un bel piglio. Non da meno è la rilettura della Factory springsteeniana, che Lucinda fa diventare quasi una cosa sua, stavolta col solo Frisell e la sezione ritmica quasi minimale, in quello che potremmo definire un approccio elettrico allo stile di Nebraska. Altra canzone bellissima è poi quella che chiude il terzo lato: una deliziosa Can’t Close The Door On Love, un autentico barlume di speranza, cantato con voce struggente e attraversato da laceranti soli di chitarra. Giriamo il disco e ci imbattiamo in If My Love Could Kill, altra buona composizione, seguita dall’ancor migliore If There’s A Heaven, quasi una ninnananna, ultimo saluto al padre recentemente scomparso, a cui la Williams chiede di farle sapere se davvero esiste un paradiso. Il disco si chiude con i desertici dodici minuti della spettrale e scarna Faith And Grace, col solo Frisell a sbizzarrirsi sulla sezione ritmica a tratti tribale e inusuale per la Williams.

Il recente Record Store Day ci ha omaggiati di un maxi singolo con due differenti missaggi di questo brano, uno più breve e l’altro che supera addirittura i diciotto minuti.

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