MARK DAVIS & THE INKLINGS – Because There’s Nothing Outside

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Mark Davis & The Inklings – Because There’s Nothing Outside (Bitemark Records/Hemifran 2015)

Come certi dischi di una volta: nessuna notizia utile per saperne qualcosa di più che non i titoli delle canzoni ed i nomi di chi ci suona. Solo i nomi, perché quali strumenti corrispondano questi nomi non è dato a sapersi. Poco male. Se funzionava una volta, la cosa può funzionare anche ora. Pensate ai dischi di Aretha Franklin di metà anni sessanta, anche lì oltre ai titoli dei brani c’era poco o niente. Eppure erano dei signori dischi.

Questo disco di Mark Davis non c’entra nulla con la musica di Aretha, ma era giusto per rendere l’idea: è però un disco bello, forse non immediato, e sicuramente non scontato, che è la qualità più bella per un disco.

Il signor Davis è un cantautore californiano molto lirico, ispirato e abbastanza giovane, anche se non proprio di primo pelo, e nel corso dello scorso anno ha dato alle stampe ben tre dischi a proprio nome o come membro di un gruppo, anche se dai credits di copertina risulta che questo è stato composto (e forse anche inciso) nel 2011, almeno così indica il copyright delle dieci canzoni da cui è composto. La maggior parte dei brani poggia su chitarra acustica e pianoforte oltre che naturalmente su una voce interessante che ricorda nemmeno troppo alla lontana quella di George Harrison. Il disco, questo lo apprendiamo dalle note biografiche nel sito di Davis, scaturisce dal fatto che l’autore è riuscito a svincolarsi dalle pastoie di una congregazione religiosa a cui si era affiliato volontariamente dopo essere stato educato secondo i crismi del cattolicesimo; lui stesso dice che per chi non è americano è difficile comprendere questo strano rapporto con le religioni… ma basta giusto pensare al giudeo Dylan e alla sua conversione al cristianesimo di fine anni settanta o a tutti i musicisti che hanno fatto parte del movimento dei cristiani rinati…

Nonostante il disco sia presentato come un disco di gruppo con gli Inklings indicati come titolari, si tratta invece di un prodotto molto intimo, e questo forse è il bello: ci sono solo qualche tocco di violino, il basso, dei cori e un uso non smodato di effetti elettronici usati come tappeto in alcune tracce, ma la potenza del disco risiede proprio nell’uso di voce, piano e chitarra col violino di Todd Compton (l’abbinamento musicista/strumento lo si evince dal sito di Davis) a contribuire – ma non sempre – alla creazione di un suggestivo ed intrigante folk pop da camera, se questa definizione può servire a rendervi un po’ l’idea oltre che a incuriosirvi. Nel brano Only You ad esempio, che con i Platters non ha ovviamente nulla a che vedere, mentre Yet richiama davvero tanto alla mente Harrison e l’iniziale Everybody’s Born Believing è caratterizzata da una voce quasi spezzata. Tra i brani che preferisco ci sono Your Photograph, Black Cloud, la pianistica e lunga The Ground, ma in verità è l’insieme che funziona perché gli ascolti ripetuti di questo Because There’s Nothing Outside dimostrano che non ci sono punti di cedimento, con l’eccezione forse del breve strumentale (Not Yet).

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