ALESSANDRO DUCOLI – Divanomachia

ducoli divanomachia

ALESSANDRO DUCOLI
Divanomachia
(RNR.CW/D 012 – 2015)

Non so se sia eticamente giusto fare un’autocitazione, ma sono trascorsi otto anni da quando, recensendo un disco del Ducoli, ho scritto di lui che era “l’indipendente per definizione, forse l’ultimo vero indipendente”. Nel frattempo i suoi dischi nei miei scaffali sono più che raddoppiati. Ce ne sono quasi venti con questo Divanomachia. Senza contare le riedizioni e un live semi ufficiale che meriterebbe l’ufficializzazione totale. Per non dire dei progetti abortiti o temporaneamente parcheggiati in naftalina o delle numerose collaborazioni (da Boris Savoldelli, ai Thee Jones Bones, ai Manè): il Ducoli, sia sotto il proprio nome di battesimo che sotto gli pseudonimi di Bacco il matto, Cletus Cobb o My uncle the dog, sembra davvero inesauribile, una fonte di idee e una fucina di canzoni che da quando la sua strada ha incontrato quella del tastierista produttore Valerio “Valeruz” Gaffurini è ancor più prolifica.

Divanomachia è un EP (ma sarà il termine giusto?) di appena 26 minuti, eppure contiene ben dodici tracce, poesie minimali, in buona parte brevissime, romantiche, struggenti. Per chi conosce le vicende del titolare anche ben riconducibili ad un determinato periodo di alti e bassi, perfettamente identificabile di canzone in canzone.

Il sottotitolo è “manuale pratico di navigazione intradomestica”, una dicitura che la dice lunga, per quanto il titolo è la vera genialata di questo “white album” del Ducoli. Un disco bianco a partire dalla grafica (le note sono presenti, alla rinfusa, solo sulla label del disco), che in copertina riporta solo il titolo. Il nome del Ducoli c’è solo sulla costoletta del CD, un CD che si alterna tra intermezzi brevissimi: riflessivi talvolta, talaltra d’ispirazione tristemente circense, con un accompagnamento musicale quasi avvinazzato che non riesce a stemperare la profonda tristezza che li ha generati: Mille modi, Collezioni infinite, Si muore, cantata – quest’ultima – come se il Ducoli fosse in un’osteria a smaltire i postumi di una sbornia del suo torbato preferito, con la cavità orale maleodorante dell’ultimo toscano fumato a metà.

E, tra un intermezzo e l’altro, sgorgano le canzoni fatte e finite, in puro stile Ducoli, grandi canzoni come Ciao ciao, come l’iniziale Il grande inverno con un crescendo strumentale che conquista passo dopo passo con le tastiere di Gaffurini che si dilungano in una coda a base di hammond, Due giorni a primavera con altra bella coda strumentale (oltre a Gaffurini nel disco ci sono solo il basso di Mancini e la batteria di Pavesi, indicati rigorosamente solo col cognome!) e soprattutto Poco male. A volte grandissime come I tuoi meravigliosi occhi, capolavoro del disco.

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