FABRIZIO POGGI – Il soffio della libertà

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FABRIZIO POGGI
Il soffio della libertà
(Appaloosa 2015)

Sono passati più di una ventina d’anni dal primo incerto CD di Fabrizio Poggi con i Chicken Mambo, un’autoproduzione un po’ sfilacciata che brillava al contrario per una totale mancanza di produzione sonora. Ma questi anni non sono passati invano, i Chicken Mambo hanno pubblicato altri dischi, hanno cominciato a frequentare gli artisti americani che amavano e a farsi produrre seriamente da gente come quel Merrel Bregante di “logginsandmessiniana” memoria, guadagnando punti e facendosi le ossa offrendo i propri servigi anche agli artisti americani in transito per la penisola.

Fabrizio Poggi, a meno di un anno dal buon disco dedicato al blues più viscerale intitolato Spaghetti Juke Joint ha cominciato a portare in giro uno spettacolo ispirato alla musica che per anni è stata identificata come colonna sonora delle lotte per i diritti civili, soprattutto in quei caldi anni sessanta che hanno avuto il loro massimo momento col famoso discorso del reverendo King (Martin Luther Jr.) a Memphis. Per lo spettacolo, intitolato Il soffio della libertà/Il blues e i diritti civili, Poggi ha assemblato una serie di brani storici di quel filone blues/gospel che ha fatto il giro del mondo in quegli anni attraverso le interpretazione di bluesmen neri e di sostenitori bianchi come Joan Baez, Pete Seeger e altri. Il risultato è un’opera filologica interessantissima, quasi minimale, senza fronzoli, credibile dalla prima all’ultima nota che l’Appaloosa ha pubblicato a mo’ di colonna sonora dello spettacolo. Qui i musicisti diventano tutti secondari, tanto che sappiamo che ci sono perché citati quasi alla rinfusa sul retro di copertina e qua e là ascoltando il disco possiamo riconoscerli (tipo Garth Hudson e di il suo organo in I Heard The Angels Singing o i Blind Boys Of Alabama in I’m On My Way): quel che conta sono le canzoni, interpretate con intensità e convinzione. Non si tratta di brani incisi ex novo, alcuni erano già apparsi in altri dischi dell’armonicista, ma per lo più qui sono state utilizzate versioni alternative o del tutto inedite e la cosa che colpisce maggiormente è che pur risalendo le registrazioni a periodi differenti, il disco suona con un’unitarietà stupefacente!

Poggi non ha la voce nera, ma è calda e il suo modo di interpretare questi brani è autentico, e a metterci il tocco black ci pensano gli ospiti, lui la negritudine la tira fuori dalla sua armonica Marine Band e la soffia in classici come We Shall Overcome (per altro brevissima e messa lì a mo’ di ouverture, Oh Freedom – una delle più note canzoni del movimento per i diritti civili – qui riproposta in maniera molto convincente con dispendio di ospiti (ad occhio e croce direi che l’organo qui è quello di Augie Meyers), Jesus On The Mainline, Precious Lord in versione quasi western, You Gotta Move (che grande armonica sentiamo qui!), la dylaniana I Shall Be Released, in verità legata al periodo storico considerato solo per il rotto della cuffia ma dal testo che ben si adatta alla bisogna. Più che blues gospel, ma non solo gospel. Venature rock appena spruzzate, soul primordiale, qualche riferimento al country blues.

In conclusione il gospel dei gospel, un’intima Amazing Grace che Poggi ha recentemente suonato proprio sulla tomba di Martin Luther King, un brano che racchiude in sé tutto il senso di questa musica, che lo si ascolti nella versione strappalacrime di Elvis, in quella a cappella dei Byrds o in quella con cornamuse recentemente incisa dalle Celtic Woman.

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