ROY HARPER – Man & Myth

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ROY HARPER
Man & Myth
(Bella Union 2013)

Ascolto questo disco da mesi, continua a piacermi allo stesso modo, mi piace la combinazione sonora con cui è stato realizzato, sempre tesa a mettere in evidenza i lunghi testi del vecchio cantautore britannico, mi piace la sua voce che non suona affatto come quella di un ultrasettantenne, mi piace la produzione.

Non ho mai frequentato la discografia di questo illustre signore, lo ammetto, ma è il bello dell’ascoltare musica. Non si può aver ascoltato tutto, e se lo si è fatto non lo si può aver fatto con la dovuta attenzione. Così si può sempre scoprire qualcosa di nuovo e soprattutto interessante. Io ho sempre preferito i lidi americani a quelli britannici, forse questo è il motivo. Ad accostarmi al disco in questione è stato il fatto che vi fosse coinvolto – producendo quattro dei sette brani e suonandovi – Jonathan Wilson. Il bello naturalmente è che il disco risulta comunque un signor disco, indipendentemente dal fatto che via sia dentro il mio beniamino.

Sette brani dicevo, pochi all’apparenza, ma se si va poi a vedere il dettaglio e si scopre che il primo e l’ultimo durano sette minuti ciascuno e il sesto supera il quarto d’ora, va da sé che di musica ce n’è in abbondanza.

L’apertura è subito di quelle che colpiscono bene, The Enemy è una gran canzone, ben strutturata, che si dipana per tutta la sua lunghezza con la voce importante di Harper che scandisce il testo come pochi sanno fare. L’arrangiamento poi è azzeccato e sottolinea l’incedere deciso del brano. Time Is Temporary è invece più intima, meno piena di musica ma nel suo essere scarna fa uscire bene la voce, la chitarra acustica e il banjo di Wilson. January Man, prodotta invece da John Fitzgerald e registrata in Irlanda, è anche molto raccolta, solo la voce e la chitarra, un basso lontano e una sezione d’archi che non invade. La sezione d’archi torna anche in The Stranger, registrata però a Los Angeles di nuovo sotto la direzione di Wilson, chitarre arpeggiate, la voce sempre protagonista, un mandolino, un’andatura in crescendo che conferma il buon momento creativo di Harper. Più rock invece l’ultimo dei brani prodotti da Wilson, Cloud Cuckooland, un’ottima canzone, dal refrain che acchiappa bene e con la partecipazione del vecchio amico Pete Townshend all’acustica e all’elettrica (in passato altre glorie avevano contribuito ai dischi di Harper, Jimmy Page in primis, Ian Anderson, Keith Emerosn, John Paul Jones, David Gilmour) sicuramente una delle cose più istintive del disco. Heaven Is Here è il brano da un quarto d’ora, Harper non è certo nuovo a queste durate, con la sezione d’archi, le chitarre cristalline protagoniste di un bel break intorno a metà brano, il cantato quasi etereo, ancora gli archi. Il finale è affidato a The Exile, ancora prodotto da Fitzgerald ma con un cameo di Wilson in coda.

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