FreaKraut – 6. KLAUS SCHULZE

 

Strano destino quello di Klaus Schulze: sembra che il Gran Cerimoniere, più cinico e baro che mai, si sia divertito a mischiare le sue carte con quelle dei vecchi compagni per un breve tratto di cammino, i Tangerine Dream, arrivando perfino a sovrapporre, senza la benché minima sbavatura, due parabole artistiche con la stessa apertura ed il medesimo grado d’inclinazione.  Due percorsi che hanno una comune origine e, purtroppo, anche il medesimo punto d’arrivo (Schulze, lo ricordiamo, mosse i propri primi passi in maniera professionale nella formazione dei Tangerine Dream che diede alle stampe il debutto Electronic Meditations, prima di mettere lo zampino nei vagiti spaziali degli Ash Ra Tempel e prima ancora di decidere che, in fondo, chi fa da se…). Da audaci sperimentatori a docili figli del compromesso, da grandi innovatori a prigionieri compiaciuti delle gabbie dorate di un genere che doveva essere punto di partenza e invece si è trasformato, per entrambi, in un insieme di formule vuote, consunte, ripetitive, incapaci di fornire nuove prospettive ad un fertile terreno di ricerca. Una guerra dei bottoni che si aggiudica, ai punti, il protagonista di queste nostre quattro righe, che meglio ha saputo conciliare, specie nei momenti in cui la propria ispirazione già cominciava a puntare verso il basso, le esigenze del portafoglio con quelle di una creatività ancora non del tutto sopita.

Schulze è l’alfiere teutonico che meglio capitalizza, all’interno della propria formazione musicale, l’abbinamento fra cultura classica ed avanguardia contemporanea: i suoi campioni sono Bach, Mozart e Wagner, simbolo della potenza espressa dalla musica, ma anche Stockhausen, Ligeti, Cage e tutta la corrente minimal-elettronica. Le sue partiture elettroniche si sviluppano attraverso trame liquide e dilatate costruite sulla reiterazione di pochi, maestosi accordi ed avvolte in atmosfere eteree ed oniriche, in una dimensione di sogno che, nei momenti migliori, sfocia incontrollata in quella dell’incubo. Le sue caratteristiche sono le note prolungate all’infinito (ottenute, si dice, ponendo dei pesi sulle tastiere) e le linee ipnotiche degli avamposti del suo arsenale bellico: sequencer, moog, sintetizzatore… 

Irrlicht, opera prima e vertice assoluto della discografia di Schulze, irrompe con tutta la propria forza nel già ribollente mercato tedesco nell’aprile del 1972. Una “Sinfonia quadrifonica per orchestra e macchina elettronica”, come recita il sottotitolo, divisa in tre movimenti lungo cinquanta minuti di scandaglio nella coscienza.  Ebene, la prima e più affascinante delle sue parti, nasce sulle note indistinte di vari sibili elettronici in un crescendo di pathos e di tensione che prepara l’ingresso degli archi. Sono violini lontanissimi che si fanno sempre più vicini sulle ali di struggenti melodie, fino a mischiarsi con i riverberi delle macchine in una progressione a fasce di caos controllato. Il terreno è ormai pronto per l’ingresso del protagonista, l’organo a canne, che intona un crescendo mistico e claustrofobico al tempo stesso che sembra non riuscire a trovare pace in una qualsiasi via di fuga. Sono una quindicina di minuti che sfiorano l’eternità: gli accordi dell’organo si fanno sempre più opprimenti e pesanti, l’ansia si fa quasi dolore fisico e la progressione incalza fino a diventare insostenibile. Solo un’esplosione può lenire questo tormento ed è il bang delle macchine elettroniche che segna l’inizio di Gewitter, il secondo movimento, il momento della stasi segnata dai riverberi elettronici del dopo bomba prima che il passo conclusivo, Exil Sils Maria, conduca lentamente e dolcemente al Nulla eterno attraverso suoni rarefatti, cadenze ipnotiche che si fanno sempre più sottili fino a addivenire al Silenzio, alla Morte. E’ la Irrlicht, finalmente, la luce inquietante che attende alla fine del viaggio, il faro che guida nella sua direzione, verso una salvezza che –forse- non era quella sperata…  

Schulze avrebbe replicato, da un gradino appena più basso, solo un anno dopo con Cyborg, album doppio diviso in quattro suite di venti minuti ciascuna, Synphara, Chromengel, Conphara e Neuronengesang, che raccolgono i resti dell’astronave per una nuova odissea nello spazio interiore.  Poi un rapido declino che prende le mosse da Picture Music (1975), esplorando territori via via meno accidentati che assisteranno, nel corso degli anni, all’introduzione di soluzioni ritmiche sempre più vivaci e, perfino, di una voce solista. Fra i lavori più significativi segnaliamo Timewind (1975), la sinfonia dedicata a Richard Wagner, e X (1978), in cui ogni suite è dedicata ad un personaggio famoso del passato. Ma rimangono, purtroppo, solo due piccole asperità in un panorama sempre più piatto.

da LFTS n.70

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