JONATHAN WILSON – Fanfare

Jonathan Wilson Fanfare

 

 

JONATHAN WILSON

Fanfare

(Bella Union 2013)

 

Se il mercato discografico funzionasse come quarant’anni fa, questo secondo disco del mitico Wilson sarebbe uno dei must sugli scaffali di ogni collezionista di dischi. Le cose vanno diversamente ora. Non è una novità. Ciò non toglie che ci troviamo di fronte ad un disco di quelli che lasciano fortemente il segno e, salvo ulteriori belle sorprese, lo possiamo considerare uno dei dischi dell’anno di questo 2013 che volge al termine. Diciamolo schiettamente: non era facile presentarsi all’appuntamento col secondo disco dopo  un esordio come Gentle Spirit, eppure questo poliedrico artista, produttore, pluristrumentista e performer è riuscito nell’intento. In Fanfare troviamo molte delle cose che ci erano piaciute nel suo predecessore e molto altro, non ultime le presenze di alcuni amici che danno al lavoro un tocco di magia in più. Nei due anni che hanno separato il debutto da questo nuovo prodotto, Wilson è rimasto tutt’altro che fermo: ha accompagnato spesso gli amici Dawes e Jackson Browne in concerto, ha pubblicato uno strepitoso EP uscito in occasione del Record Store Day di un anno e mezzo fa, è stato in tour col suo gruppo facendo da supporter (anche nel nostro paese) a Tom Petty & The Heartbreakers, ha prodotto il graditissimo ritorno di Roy Harper ed è andato in tour facendogli da spalla, non ultimo ha tenuto una serie di concerti americani insieme a Bob Weir. Tutte cose che facevano ben sperare per il suo ritorno sul mercato.

La grandezza di questo artista e del suo Fanfare stanno nella sapienza che viene usata per amalgamare i vari stili che lo compongono: ci sono i richiami psichedelici inglesi (Pink Floyd) ma anche quelli americani (Grateful Dead), c’è un tocco di pazzia nel brano d’apertura, una lunga suite che non può non ricordare il beach boy Dennis Wilson (nessuna parentela) e c’è, soprattutto la grande scuola del cantautorato californiano, non a caso uno dei paragoni che si sono letti maggiormente a proposito di Jonathan è quello col primo, indimenticabile e imprescindibile lavoro solista di David Crosby.

Jonathan fa quasi tutto da solo, è uno dei suoi pallini, salvo poi usare una band per i concerti, canta e suona un’infinità di strumenti dalle chitarre al mellotron, al basso al Fender Rhodes, ma i membri del suo gruppo fanno capolino qua e là, soprattutto il batterista Richard Gowen. Il risultato è un affresco sonoro come pochi se ne sono sentiti negli ultimi anni: un doppio vinile o un unico CD con una dozzina di brani di differente ispirazione (in realtà il CD ha un brano in più, ma a vantaggio del vinile va detto che il suono ne esce meglio e che nella pesante confezione cartonata è incluso anche il compact disc col brano in più), con una prima parte molto onirica e dilatata, una centrale molto “canzone” (ma non scontata) ed un ritorno nel finale alle atmosfere iniziali. Le influenze non sono mai concentrate in un solo brano, in una stessa canzone (Illumination) si possono ascoltare contemporaneamente echi del Neil Young di Zuma e dei Pink Floyd più ispirati, così nella fantastica Moses Pain – con le voci di Graham Nash e Jackson Browne, la chitarra di Mike Campbell e le tastiere di Benmont Tench – echeggiano allo stesso tempo i songwriting di Browne e di Bob Weir, e ancora: un altro degli highlight del disco, Cecil Taylor, oltre che essere beneficiato dalle voci di Crosby & Nash – con un bel vocalizzo del Croz vecchio stile – ha una melodia che sembra essere uscita dalla penna del miglior Stephen Stills ed un solo elettrico che richiama il Garcia più geometrico!

Ma attenzione: il disco è sì pieno di ispirazioni altolocate, ma ha una sua anima, è Jonathan Wilson al cento per cento, i modelli si fanno sentire, ma sono così ben mescolati da non farlo risultare un disco derivativo, citazionistico, un mero esercizio di stile. C’è spazio per tutto, persino per un’incursione pseudo latin in Fazòn, ci sono composizioni piene di pathos come Desert Trip in odor di Fred Neil, Love To Love e Future Vision, e se ancora non vi basta, provate a scovare anche un pizzico di Traffic in Lovestrong e di Beatles in All The Way Down.

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