Nico, un requiem per l’umanità

Con Desertshore sembra che la chanteuse voglia intonare un requiem per il genere umano. Il suo canto gelido, pietrificato, straziante non ha forma, non ha passione, non ha sesso: si fonde con la musica in un’atmosfera statica, priva di pulsazioni, di qualsiasi componente ritmica in un unico, disperato flusso di coscienza. Un tono maestoso e solenne che è anche quello dell’iniziale Janitor Of Lunacy, nella quale harmoniun e organo si rincorrono e si sovrappongono tracciando inquietanti fondali orchestrali. In The Falconer qualche contrappunto pianistico spezza la tensione prima della dolcissima nenia infantile di My Only Child, per sola voce e cori femminei, e della macabra filastrocca di Le Petit Chevalier, intonata dal suo piccolo Ari con il solo accompagnamento di un clavicembalo. In Abschied la viola di John Cale affianca l’harmonium in partiture che non temono, in potenza, quelle di un’intera orchestra. Con Afraid, ballata pianistica velata dalle dissonanze della viola di Cale, la voce di Nico tocca una dei suoi vertici espressivi, mentre Mitterlein sfocia in un finale senza schemi. All That Is In My Own è una chiusura quasi soprannaturale, con la voce che sovrasta un tappeto aspro e dissonante in un ultimo, tragico inno. Capostipite indiscusso del rock gotico, Desertshore rimarrà fino all’ultimo il disco preferito di Nico, quello che avrebbe accompagnato le sue ceneri nella loro ultima dimora il 16 agosto del 1988, in un piccolo cimitero poco fuori Berlino, gracchiando sommessamente da un vecchio registratore a cassette.

da LFTS n.100

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