Terra e Acqua

D’accordo, da qualche parte, lungo i suoi 74 minuti, si ode pure qualche strano gorgoglio acquatico, ma mai titolo fu più fuorviante per una musica che evoca immagini di aride terre desolate, battute da venti caldissimi che riescono solo in minima parte a lenire i raggi di un sole cocente. Ma per inquadrare gli Scenic di Bruce Licher non basta il deserto, è salutare un salto indietro nel tempo alla Los Angeles dei primi anni ottanta, ad una scena che si auto battezzò trance della quale non si accorse nessuno salvo qualche pazzo sparso qua e là in Europa e, caso più unico che raro, in particolar modo gli appassionati della fanzine romana Viva, che assemblarono un paio di antologie dal titolo programmatico di “Viva Los Angeles”. Pochi nomi che ai più non diranno niente, eccezion fatta per i capostipiti Savage Republic, ma che, almeno fra i membri di un paio d’essi, Psi-Com e Shiva Burlesque, videro germogliare due delle formazioni più rappresentative della decade successiva, ovvero Jane’s Addiction e Grant Lee Buffalo. Ma è al genio dei Savage Republic che vogliamo tornare, che è poi in massima parte il genio del leader Bruce Licher, artista a tutto tondo nella musica e nella grafica, che rappresentava in fondo la sua professione originale, e responsabile per il tramite della sua Independent Project Records di alcuni dei manufatti più preziosi degli anni ottanta. Dischi che non avevano nulla di seriale: edizioni limitate e numerate, copertine pressate a mano in cartone grezzo che sovente si aprivano a busta o a croce, una gran quantità di inserti, cartoline, etichette, disegni di fattura squisitamente artigianale che facevano di ogni copia dell’album un pezzo unico. Che poi la maggior parte di essi contenesse musica decisamente all’altezza dell’involucro che la avviluppava era particolare non certo da poco. I Savage Republic pubblicarono quattro album fra il 1982 ed il 1989, tutti non meno che ottimi, i primi due dei quali, “Tragic Figures” e “Ceremonial”, possono essere considerati i manifesti del movimento ed i capolavori di tutta la trance. Ma sarebbe più giusto dire capolavori e basta. Gli Scenic, che accanto a Bruce Licher (chitarra) vedevano in formazione James Brenner (basso), Brock Wirtz (batteria) e Robert Loveless (tastiere), oltre ad essere una sorta di supergruppo di reduci da quella stagione ingloriosa, costituirono di fatto una sorta di appendice dell’esperienza Savage Republic, della quale ripresero i temi principali spogliandoli della voce. Nessuna parola, dunque, ma è un fattore del tutto trascurabile in un sound di squisita fattura che non ha bisogno del canto per evocare immagini e suggestioni straordinarie, per unire il kraut-rock a Morricone, per sposare la psichedelia con la musica etnica, il progressive con il primitivismo, l’ambient con qualche tocco di isolazionismo. Una musica dolce, solenne e visionaria, cinematica e cinematografica come poche altre. Dopo un singolo con tre brani che sarebbero stati integralmente ripresi nell’album, gli Scenic debuttavano sulla distanza maggiore nel 1995, naturalmente su Independent Record Project, con “Incident At Cima”, esordio coi fiocchi già perfettamente focalizzato sulle suggestioni visive che è in grado di suscitare la musica del gruppo. Un altro singolo, Sage/Another Way, destinato invece a rimanere inedito, prima di approdare l’anno successivo a “Acquatica”. Uno dei rarissimi CD la cui lunghissima durata non alimenti sacrosante accuse di eccessiva prolissità, merito di un sound che non conosce cedimenti e mantiene costantemente alte tensione e attenzione, e che oltretutto gratifica anche il suo possessore grazie ad un digipack, del quale sapete già chi ringraziare, che è forse il più bello che mi sia passato fra le mani. “Acquatica” amplia, insieme al minutaggio, le medesime suggestioni del predecessore, apportando elementi di novità che tendono anche a distaccarlo dall’esperienza Savage Republic. Merito soprattutto di una strumentazione molto più ricca che con fiati, bouzouki, synth, armonica ed un gran numero di diavolerie etniche, sottolinea il temperamento di una musica che non conosce confini, che ama guardare il mondo dall’alto, cullata da un vento che attraversa mari e deserti senza posare mai i granelli di sabbia che porta con sé. Dopo una lunghissima attesa, sette anni dopo, nel 2003, gli Scenic non avrebbero smesso di sorprendere con “The Acid Gospel Experience”, il terzo e finora ultimo atto della loro saga, ma Independent Record Project non esisteva più, e con essa buona parte di quel mondo al quale preziose esperienze come questa sono legate in maniera indissolubile.

(da LFTS n.96)

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