FRANCESCO PIU/PEACE & GROOVE BAND – The Cann O’Now Sessions
di Paolo Crazy Carnevale
12 luglio 2018
FRANCESCO PIU/PEACE & GROOVE BAND – The Cann O’Now Sessions (Appaloosa/IRD 2018)
La prima cosa che balza all’orecchio quando parte la prima traccia di questo live in studio è che non suona assolutamente come un disco italiano, Francesco Piu ed il suo gruppo hanno un groove ed un approccio alla musica che si potrebbe tranquillamente pensare di essere al cospetto di un gruppo d’oltreoceano. Il filone è quello blues, ma non troppo classico, molto filtrato e molto venato di funk, complici una ritmica assolutamente d’assalto e un organo Hammond penetrante al punto giusto che supportano le evoluzioni del titolare con la sei corde.
Il chitarrista (e anche ottimo vocalist) sardo si è costruito negli ultimi anni una solida fama più che meritata, non è un caso se nella sua carriera ha avuto l’onore di aprire i concerti di gente come Derek Trucks, Jimmie Vaughn, Robert Cray, nonché di farsi produrre un disco (Ma-Moo-Tones) da Eric Bibb.
Questo nuovo disco, uscito in tiratura limitata per il recente Record Store Day, è il risultato di una giornata particolare, una session dal vivo in studio, laddove lo studio è un’azienda agricola della sua Sardegna, da cui il titolo che si rifà neanche troppo velatamente al più conosciuto dei vini sardi.
Accompagnato dalla sua band, la Peace & Groove Band (dal titolo del disco precedente, uscito per l’Appaloosa nel 2016), formazione tutta sarda come il titolare, Piu mette in fila una serie di brani, per metà provenienti dal disco precedente e per metà ripescati tra la tradizione e i repertori di artisti a lui affini.
Il risultato è pregevole, a dimostrazione – ma non ce n’era bisogno – che anche in Italia si può fare del gran blues anche senza avere la pelle scura o gli antenati che si sono spaccati la schiena nei campi di cotone.
Mentre Gavino Riva e Giovanni Gaias sostengono una pulsante parte ritmica, Piu si occupa del canto e della chitarra creando un sound particolarmente riuscito che ha uno dei suoi punti di forza nell’organo suonato da Gianmario Solinas. I brani originali più recenti sono composti in tandem con lo scrittore suo conterraneo Salvatore Niffoi, e a dare una solida mano ci sono anche quattro voci femminili che aggiungono pepe al disco.
Se l’inizio suona un po’ come un riscaldamento (In The Cage Of Your Love e Hold On), il disco entra subito nel vivo con la bella cover del classico di Vera Hall Trouble So Hard, con finale vocale da brivido, poi è la volta di Down On My Knees, con la sezione ritmica in odor di Bo Diddley e una serie di interventi di Hammond e chitarra da far drizzare i peli sulla schiena a chi li ha.
My Eyes Won’t See No More è una delle tracce composte con Niffoi e viaggia dalle parti del texano, un po’ sudista, un po’ boogie; Mother (medesimo team compositivo) è invece un delizioso intermezzo acustico, un ulteriore saggio della duttilità del nostro e della sua banda, con Solinas per l’occasione si sposta al pianoforte. Black Woman è un tradizionale eseguito con gusto, partendo da un approccio spiritual e sviluppando poi una parte centrale in chiave psichedelica per poi tornare all’atmosfera iniziale. Crumbled Stones ci riporta in territori funk, con Piu che ci piazza anche un indovinato intervento con l’armonica, You Feed My Soul è un altro brano solidissimo, Rough God Goes Riding è una personale interpretazione di un brano del Van Morrison di fine anni novanta, un brano intenso, lento, penetrante, di nuovo con l’organo al posto giusto, sia l’Hammond che il cuore, e una parte di chitarra sopraffina.
Il finale è un altro tradizionale, Turn Around Me, ancora a metà strada tra gospel e canto di lavoro, degna conclusione di un disco dal vivo a cui mancano solo gli applausi.