GRAZIANO ROMANI – Looking Ahead
GRAZIANO ROMANI – Looking Ahead (Route 61 Recordsvc 2025)
Non solo Springsteen. È la prima cosa che viene in mente ascoltando questo nuovo lavoro del rocker emiliano Graziano Romani. Non che avessimo bisogno di questo disco per scoprire che la musica di Romani va ben oltre. Ma è una cosa che è bene e giusto ribadire. Romani è stato l’anima e la voce dei Rockin’ Chairs, formazione di Reggio Emilia devota alla musica del boss: ricordo di averli sentiti nominare la prima volta alla fine del 1984 grazie ad una loro versione di Jungleland registrata proditoriamente dal vivo nella mia città (ma io stavo facendo il soldato altrove, allora) e finita in una compilation casalinga su nastro. Un paio d’anni dopo sono tornati a suonare dalle mie parti e il concerto non me lo sono perso. Poco dopo è arrivato il famoso primo LP su Ala Bianca/EMI. Da quei tempi eroici – per una band rock di quel genere in Italia non era certo facile avere l’opportunità di fare dischi – di acqua sotto i ponti ne è passata molta, allo sfaldamento del gruppo, Romani ha fatto seguire una carriera solista di riguardo, varia, ha persino preso parte a tributi a Springsteen, ha fatto dischi in omaggio agli eroi dei fumetti cari a lui e alla sua generazione, di cui ricordo con piacere quello a Tex Willer.
Nella musica, lui non ha mai smesso di crederci. E Looking Ahead ne è la riprova. Ascolto dopo ascolto il disco cresce, matura, conquista. Se non sapessimo chi è Graziano Romani e se non sapessimo che la Route 61 è una label italiana, potrebbe essere un disco d’Oltreoceano, il disco di un artista che la musica americana la conosce a menadito, sa scrivere brani come se fosse nato lì, anche meglio forse, e oltretutto lo fa riuscendo pure a dire qualcosa coi suoi testi. Ogni brano è come una cartolina e nel booklet è accompagnato dal relativo francobollo. Il disco trasuda suoni ben costruiti, la fisarmonica quasi zydeco dell’energica Middlejune che apre il disco parla chiaro, tra l’altro la suona Franco Borghi, qui anche ad uno strepitoso pianoforte, che stava con Graziano già ai tempi dei Rockin’Chair. Così come il mitico Max Marmiroli, che qui si occupa della sezione fiati e che come Borghi negli ultimi quindici anni è sempre rimasto a fianco del titolare. Singing About Nothing gira dalle parti di Southside Johnny, ottima la chitarra di Fellon Brown e ottimo il refrain di facile assimilazione; Lay Down These Arms, oltre a confermare il buono stato della vena del Graziano autore, sta ancora nel New Jersey di fine anni settanta, con Marmiroli che suona come se fosse da solo gli Asbury Jukes, è quindi la volta della soul ballad This Kind of Sparks, con solo del sax e gran sostegno della sezione ritmica formata da Lele Cavalli e Nik Bertolani. L’arrangiamento festoso di Bright Side Of The River ci riporta al soul celtico di Kevin Rowland e soci, Unafraid ricorda un po’ Ligabue, che è uno che viene dalla stessa scuola di Romani, con un testo in stile hobo che cita inevitabilmente Woody Guthrie, Borghi ci mette un bel solo di fisarmonica. Con Universal Law il suono si fa più impetuoso e robusto, l’organo tira cannonate e l’autore invita a tornare a fare l’amore – in contrapposizione con la guerra che sembra si stia facendo ovunque di questi tempi. Altro attacco in chiave Southside Johnny per In A Just World, con Marmiroli e Borghi che sono i protagonisti della struttura sonora, magnificamente sorretta da basso e batteria. Lo status elevato del disco prosegue con From This Moment On, Black Alley Beauty (bel giro di chitarra), Looking Ahead, forse la canzone che ricorda maggiormente l’ispiratore primordiale di Romani insieme alla conclusiva Last Juke Box On Earth, brano evocativo costruito sull’onda di ricordi davvero lontani.
Paolo Crazy Carnevale
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