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LUKE BELL – Luke Bell

di Ronald Stancanelli

19 gennaio 2017

LUKE BELL[154]

LUKE BELL
LUKE BELL
Thirty Tigers/IRD 2016

Luke Bell mi ricorda con la sua faccia di profilo in bianco e nero una specie di ritratto/misto tra il vecchio Hank Williams e Bruce Springsteen, se andate sul suo sito una foto nella quale è vicino al suo cane ricorda proprio il Boss . Non conosco il personaggio, ma il suo sound un po retrò che sto facendo mio, mi ha letteralmente conquistato con l’ascolto di questo suo omonimo cd, terzo album della sua discografia. Tra l’altro anche il primo suo lavoro del 2012 aveva lo stesso esatto titolo del suo nome e cognome! Boh ! Come i vecchi e puri dischi country di una volta dalla parca durata anche questo passa di pochissimo i trenta minuti. Il sound è piacevole, ne troppo ricco ne diremmo scarno, giusto per il genere che vuole proporre o riproporre. I musicisti con lui non sono noti, almeno per noi, e rispondono ai nomi di Casey Driscoll al violino, Brett Resnick alla steel, strumento che caratterizza notevolmente tutto l’album e Micah Hulscher al pianoforte, anch’esso di notevole spessore e tutti e quattro i musicisti assieme sono decisamente bravi nella decina di pezzi che compongono il cd con estensioni che vanno dal country, come prima accennato, di stampo classico a velato rock and roll, qualche spruzzatina labile di rockabilly e un istrionico yodel di giusta misura senza però esagerarne, e in un ultima istanza anche certo sommerso honky-tonk fa capolino dai solchi. Diciamo che la nota più curiosamente interessante la traiamo dalla produzione che è affidata a Andrija Tokic che aveva prodotto nel 2012 l’esordio degli strepitosi Hurray for a Riff Raff che erano poi stati autori due anni dopo di uno splendido capolavoro come Small Town Heroes. Il disco scorre che è un piacere e il suo scalpitare veracemente ci fa pensare a una sana mistura tra Randy Travis, Dwight Yoakam e Chris Le Doux. Tutti i brani si fanno scivolare addosso che è un piacere ma una giusta e doverosa citazione All Blue, Where Ya Been e the Great Pretenders la meritano sicuramente; niente a che vedere i Platters con quest’ultima. Tutti i pezzi sono a firma del cantautore che scopriamo provenire dal Wyoming, la copia giuntaci per recensione non ha alcuna nota informativa, solo una fotocopia della cover e nel retro i titoli. Bel disco come se ne facevano a bizzeffe tra gli anni cinquanta e inizio settanta; fatto con gusto, pulizia dei suoni, ritmo e tanta classe e passione. Chissà come saranno i suoi due precedenti, ci prende la curiosità.