DAVE MULDOON – Smoke Steel And Hope
di Paolo Baiotti
24 luglio 2018
DAVE MULDOON
SMOKE STEEL AND HOPE
Prismopaco 2018
Cantautore newyorkese, Dave si è trasferito in Italia nel 2000. Ha fatto parte di una tribute band di Tom Waits, una delle sue principali fonti d’ispirazione, avviando poi una carriera solista con Little Boy Blue, pubblicato nel 2008 e prodotto da Cesare Basile, un disco vicino all’indie-rock tra ballate cupe e canzoni più rumorose. Sono passati dieci anni, Muldoon ha una famiglia e insegna, ma non ha dimenticato la musica ed è tornato con un disco più tradizionale del precedente, anzi in equilibrio tra tradizione cantautorale e modernità minimalista degli arrangiamenti. Questa volta ha scelto la chitarra steel e la produzione di Giovanni Calella, che ha mischiato sonorità roots, accenti desertici e campionature, aiutato da Lino Gatti e Roberto Dellera di The Winstons, Milo Scaglioni, Chiara Castello e Micol Martinez.
L’apertura del disco denota le influenze di Tom Waits in Die For You, sia nella sporca tonalità vocale che nell’arrangiamento secco ed essenziale, e quelle di Bob Dylan nello scorrevole singolo New York City Life, una delle composizioni migliori del disco, punteggiata da una chitarra western e dal pianoforte. La ballata Nothing At All e l’avvolgente Destiny’s Child inseriscono con discrezione elementi gospel, seguendo il solco iniziale. Ma l’atmosfera cambia con due tracce oscure: Mountain, dichiaratamente ispirata da Ian Curtis dei Joy Division, con la chitarra acustica della prima parte sostituita da un crescendo elettronico anni ‘80 e la corale Horizon, scritta a Ibiza durante uno spaventoso incendio, che richiama nei testi la scrittura di Mark Lanegan. Dancing inserisce elementi latini, mentre la lunga e ripetitiva Long Time è stata stravolta dalla band che ha inserito un ritmo incalzante con molte sovraincisioni (anche troppe). In chiusura la brillante On The Radio, che ondeggia tra vocalità springsteeniane e influenze soul e l’up-tempo easy Get What You Need, ballabile e ricco di campionature, confondono un po’ le acque lasciando l’impressione di un artista ancora indeciso sulla strada da intraprendere.