CARTER SAMPSON – Wilder Side

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CARTER SAMPSON – Wilder Side (Continental Song City 2016/IRD)

Ma quante brave cantautrici ci sono sparse nei cinquanta stati dell’Unione?

Verosimilmente a questa domanda nessuno sarà mai in grado di dare una risposta: sarà perché negli ultimi tempi mi è capitato di ascoltarne diverse, e tutte estremamente gradevoli ed ispirate, ma la una domanda che mi frulla in testa da molto. Carter Sampson è l’ennesima emerita sconosciuta a cui non posso fare altro che augurare ogni bene possibile: l’ascolto di questo suo disco, il quarto della sua carriera, è davvero coinvolgente, le canzoni sono dirette ed arrivano subito, colpiscono nella loro semplicità ed allo stesso tempo nella loro potenza.

Questa signora dell’Oklahoma, cresciuta ascoltando la musica giusta (nelle canzoni di questo nuovo lavoro si possono cogliere citazioni dedicate a James Taylor e a Dylan), sa decisamente come scrivere canzoni e con la sua bella voce, potente ed al tempo stesso morbida pare si sia guadagnata l’epiteto di regina dell’Oklahoma, musicalmente parlando.

Il disco mette sul piatto (o nel lettore, più propriamente) dieci belle ballate, arrangiate con gusto e suonate bene, senza troppi fronzoli, grazie all’aiuto di uno sparuto team capitanato dal polistrumentista e produttore Travis Linville.

Chitarre soprattutto, di ogni tipo, un organo, un banjo e belle voci. Wilder Side non ha fatto a tempo ad uscire che subito si è guadagnato una lunga serie di positive recensioni sulla stampa e sul web, qualcuno ha accomunato la Sampson a Lucinda Williams, ma il modo di cantare va più verso il genere Puss’n’Boots (la superband al femminile in cui milita Norah Jones).

Fin dalla magica apertura affidata al brano che intitola il disco, la sensazione è quella di trovarsi davanti ad un prodotto immediato, di quelli che non hanno bisogno di troppi ascolti per cominciare a piacere: Wilder Side è una canzone che entra subito in circolazione e conquista. Il discorso vale però più o meno per tutte le altre composizioni, con preferenze assolute per Run Away, impreziosita da un gran giro di chitarra acustica, per la struggente Medicine River, cantata con convinzione e suonata con una misuratezza di suoni davvero fantastica, l’acustica che ricama, le svisate di dobro, un banjo appena accennato. Ma è bellissima anche Take Me Home With You, e che dire di Holy Mother o della conclusiva See The Devil Run dalle atmosfere rilassate.

Quanto al quesito riguardante quante brave cantautrici partoriscano gli States, la risposta soffia nel vento, quello dei mulini, visto e considerato che un’artista di questo calibro per pubblicare i suoi dischi si deve rivolgere ad una piccola casa discografica olandese!

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