Darwin, Mick Jagger e un branco di svitati.

Con una bizzarra teoria da propagare nel mondo, quella della cosiddetta de-evoluzione, che ipotizzava per un genere umano sempre più schiavo di un modus vivendi troppo alienante una sorta di graduale regresso verso i gradini via via più bassi della propria scala evolutiva, ed un look altrettanto pazzesco a supportarla, a mezza strada fra il clownesco ed il robotico, che ebbe un effetto immediato sulle esibizioni dal vivo e sui primi, timidi, video-clip, i quattro Devo, da Akron, Ohio, rappresentarono, insieme ai Talking Heads, la frontiera più avanzata di quel nuovo rock americano che si stava trasformando in new wave. E, non a caso, per entrambe le band in sala di regia sedeva, in quell’anno, il genio profetico di un Brian Eno ancora fresco della New York negativa. L’impatto che i Devo ebbero in quegli anni, e nel corso futuro della musica rock, sta già tutto nella feroce vena dissacratoria con la quale martoriarono il Sacro Graal dei Rolling Stones di Satisfaction, sconnessa a base di spasmi, sincopi, ossessioni e pulsioni meccaniche nella riuscitissima, allucinata cover con la quale si presentarono al mondo. Ma i quattro di Akron non volevano distruggere nulla: le proprie dinamiche elettroniche e sperimentali tracciavano linee sghembe ma rispettose delle regole del rock, i synth e le drum machine si affiancavano alle chitarre elettriche senza stravolgere le leggi della perfetta pop song. E di canzoni perfette, da Satisfaction a Mongoloid, da Jocko Homo a Uncontrollable Urge, questo storico debutto è pieno. Splendida replica con il successivo Duty Now For The Future (1980) poi, anche per i suoi mentori, l’inevitabile de-evolution.

da LFTS n.100

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