Noi e il Web

Da un po’ di tempo i timori per il futuro del rock si moltiplicano sulla stampa e nel web, sono tutti preoccupati e ogni commentatore cerca una personale soluzione all’ipotetico dramma che si sta consumando. Prendo spunto per queste note da un articolo “Requiem per il rock?”a firma Marinella Venegoni, tratto da “La Stampa.it” dello scorso 7 agosto, che a sua volta prendeva lo spunto dalla mancata edizione dell’ennesimo anniversario di Woodstock che si sarebbe dovuto svolgere a New York il prossimo 21 settembre.

Un anniversario, il 40°, che non si svolgerà per mancanza di sponsor e, quindi, di fondi. Nel suo articolo, Marinella Venegoni sfiora una nutrita serie di problematiche – dalla crisi della musica registrata a quella dei concerti, dalla mancanza di vere star dopo i mostri sacri dell’ultimo trentennio, alla crisi della stampa di settore: “ai giudizi critici nessuno bada più, ognuno è critico per conto proprio” – per concludere con l’apocalittica previsione che “siamo all’inizio di un’era di cui ancora non si possono disegnare i contorni”. Ci sono mille ragioni in queste parole e non possono che portare a una sorta di malinconico abbandono al fato e alla mestizia.

Ma, chiaramente, questa è solo una parte di verità e riguarda l’aspetto più esteriore e prevedibile dell’approccio alla musica. “La rete – scrive Marinella – ha prodotto una crisi senza precedenti: ha trasportato l’immaginario della sfera dei sogni e delle emozioni all’asettico mondo del consumismo”. Appunto, e una breve analisi delle ragioni espresse nell’articolo forse un po’ di speranza ce la può dare. Partendo dalla mancata, ennesima, edizione di Woodstock: siamo di fronte al delirio del consumismo della memoria. Io credo che sarebbe anche ora di smetterla di cercare di riproporre ciò che non è riproponibile. Il significato di quell’evento non si può perpetuare all’infinito perché, come scriveva Benedetto Croce, la storia non si ripete, semplicemente perché il momento storico originale è fatalmente passato, non esiste più.

Va bene una volta, che se non ricordo male non fu poi quel gran successo, perché anche i nostalgici hanno i loro diritti, ma adesso basta, non è che ogni cinque anni dobbiamo rifare Woodstock. Ma tutto questo non fa che emergere l’incapacità di rinnovamento, l’impossibilità di manifestare una qualsiasi forma di originalità che non sia precotta o, peggio ancora, dettata dalle mode (sempre presunte) o da ipotesi di business nudo e crudo. Poi, che “ognuno sia critico per conto proprio” è un’ipotesi suggestiva ma probabilmente ottimistica per formidabile eccesso. Io credo che la capacità individuale anche semplicemente di scegliere un disco in uno scaffale sia oggi prerogativa del 5% dei fruitori di musica.

Il 95% deve essere consigliato, bombardato dalla pubblicità, o rincitrullito dai passaggi radio. Il ruolo della stampa di settore sarebbe anche importante se la gente leggesse i giornali. Perché se lo facesse magari si sorprenderebbe di scoprire che il rock nelle sue mille sfaccettature, nei suoi percorsi alternativi al banale, non solo vive ma è anche in piena salute. Imparerebbe anche a conoscere i propri gusti, con una briciola di curiosità potrebbe ampliare il suo raggio d’ascolto, conoscere nuovi artisti e, quindi, dare nuova vita alla “musica registrata”, perché chi è appassionato di un autore, di un genere musicale, non si accontenta di scaricare qualche traccia dal web.

Io non credo che il web abbia prodotto “una crisi senza precedenti”, voglio dire, non è nato per generare una crisi. Il web è una opportunità importante per chi ha il dono del discernimento. Il problema è la gente, non il web. Il web non ha inventato il consumismo e non mina minimamente i nostri sogni. Siamo noi che preferiamo circondarci di diavolerie elettroniche che sono state concepite per inquinare l’ascolto della musica, mentre invece potremmo investire quelle somme in sani dischi e vivere felici con i nostri sogni. Io credo che sia arrivato il momento di fermarci tutti quanti un momento. I “contorni” dell’era che stiamo vivendo e di quelle che vivremo li possiamo tranquillamente disegnare noi. Attraverso le nostre scelte (e non subendo quelle di altri), attraverso la comprensione di ciò che davvero desideriamo. Attraverso il discernimento, la più rivoluzionaria e imprevedibile delle novità.

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