Non rinunciare ma ripartire

Due belle pagine dedicate ai dischi in vinile le abbiamo trovate su “Il Corriere della Sera” dello scorso 29 luglio. Più che ai dischi, lo spazio era dedicato alle copertine, una forma d’arte che si è meritata una mostra al Museo Madre di Napoli, come recita un occhiello” un viaggio nello stretto rapporto tra il rock e le arti figurative”. Il titolo della mostra è “Cover, l’arte a 33 giri”, e c’è anche un sito Internet, anzi due: www.museomadre.it e www.cover-art.com.

Tra le varie notizie scopriamo che le vendite dei CD nel 2008, rispetto al 2007, sono calate del 21%, mentre, sempre nello stesso periodo, le vendite degli LP sono aumentate del 232%. Ma abbiamo a che fare con piccoli numeri: viene ipotizzata una percentuale di meno dell’1% del peso degli LP (pari a circa 1,55 milioni di Euro) all’interno del fatturato globale, ma la tendenza è più che confortante. Del resto, questa analisi non tiene conto di due elementi essenziali: 1) la produzione degli LP è ancora molto scarsa. Non puoi acquistare qualcosa che non c’è. 2) il mercato degli LP che veramente funziona è quello dell’usato. Quest’ultimo dato sarebbe bello conoscere, ma non fatichiamo a credere che sia praticamente impossibile determinarlo. Un’altra considerazione: questi numeri si riferiscono al nostro mercato interno. Chi acquista vinile all’estero non è quindi contemplato, e all’estero gli LP li trovi eccome. Al di là di ogni valutazione sulla copertina come forma d’arte, qui si sfonda una porta aperta e possiamo solo plaudire ai curatori, ciò che fa riflettere sono le opinioni espresse dall’“esperto” contattato dal giornalista del Corriere Marcello Parilli, ovvero Mario De Luigi, direttore della storica rivista “Musica e dischi”.

Musica e dischi?

Cito dall’articolo del Corriere, sperando in un errore di stampa: “Il tanto sbandierato ritorno (del LP) è un fenomeno curioso, pittoresco e simpatico quanto si vuole, ma rimane pur sempre di nicchia. Dice De Luigi: non vedo nessun futuro commerciale per gli LP, è un caso di costume montato da qualche giornalista nostalgico: gli unici a interessarsene sono i collezionisti (…) tutto questo durerà ancora a lungo ma finirà. Con gli anni sono scomparsi i collezionisti di 78 giri, ora è la volta di quelli cresciuti con il vinile, poi toccherà agli amanti del CD, che ha già le sue rarità. Poi chissà”. Primo effetto di questa devastante profezia, al confronto della quale Nostradamus raccontava barzellette, la chiusura di “Musica e dischi”, a causa della mancanza di argomenti, e non è certo un augurio. Partendo dal difficile e complesso presupposto che stiamo parlando di cultura e non del commercio delle banane come ormai è diventata la produzione discografica delle cosiddette “major”, la vera rovina dell’industria discografica mondiale, prima dal punto di vista artistico, quindi e conseguentemente sotto l’aspetto finanziario, forse sarebbe utile ritornare ai motivi che in passato hanno penalizzato il supporto in vinile. E sempre forse, la vera causa è l’ignoranza.

Un po’ di marketing non guasterebbe

La mostra di Napoli con il suo contributo di memoria grafica, gli articoli dei giornalisti “nostalgici” che in fondo non fanno altro che richiamare a un ritorno a una dimensione più umana dell’approccio alle forme d’arte, soprattutto il prezioso lavoro delle etichette indipendenti, non possono certamente essere considerati un punto di arrivo, piuttosto di partenza, o se volete di ripartenza. La nostra Associazione è nata per questo: per contribuire, nel suo piccolo, a creare un movimento di opinione e di interesse nei confronti dei dischi in vinile e di un mercato che, ne siamo tutti certi, esiste e sempre esisterà, anche se la parola “mercato” poco si confà, ma è per capirci. I numeri non ci interessano molto, il mercato lo fa l’offerta, e questa credo sia una legge dell’economia. Se oggi il settore del download digitale (sempre secondo i dati forniti nell’articolo di cui sopra) ha avuto un incremento del 37% (2008 verso 2007) significa che qualcuno è stato bravo a promuovere quel particolare mercato, migliorando e promuovendo l’offerta. Possibile che a nessuno venga in mente di fare la stessa cosa per il disco in vinile? I giradischi li vendono ancora, anzi, ho notato che sono apparsi addirittura nei centri commerciali. Magari quell’1% in poco tempo diventa 2%, poi magari 4%. Ma non per moda, per consapevolezza. Perché di un quadro si ama anche la parte materiale, non solo ciò che è rappresentato, e una foto dello stesso quadro non dà alcuna emozione. Di un libro si ama anche l’oggetto in sé oltre ai contenuti, e quei contenuti di appartengono di più se li puoi sfogliare, piuttosto che leggerli a video. Il disco ti aiuta ad amare la musica che ascolti perché è suono vero ed emozione tattile. E consegnare tutto questo al concetto di “nostalgico” mi sembra quanto meno un azzardo ideologico, una debolezza intellettuale, una rinuncia morale oltre che, per chi lavora a diverso titolo in questo settore, professionale.

Un’industria da rifondare

Ma la storia dell’umanità ci insegna che a ogni periodo di barbarie ha sempre fatto seguito una adeguata rinascita. C’è sempre stata una reazione al brutto, al negativo, alla depravazione culturale, sociale, dei comportamenti. Oggi il triste ruolo di “strumento della subcultura emozionale” appartiene ai download, ed evidentemente all’industria discografica va bene così, loro adorano suicidarsi pur di vendere qualcosa, pur di fare utili (che ovviamente per coerenza non fanno). Questa è ignoranza. Questo è un mercato senza alcun valore, dove la cultura è in balia delle mode, dove è il supporto che diventa più importante della forma d’arte che ha il compito di divulgare. La gente le mode le subisce, non le inventa. Nessuno ha sentito il bisogno dell’ipod fino a quando non è stato inventato. E noi non siamo qui a far la guerra all’ipod, cosa di cui non ci frega niente, come del resto siamo estranei a qualsiasi tipo di nevrastenismo tecnologico presente e futuro, ma per offrire a chi lo desidera il gusto dell’alternativa, per ricordare ai distratti o ai troppo giovani, ma anche a chi ha per qualche motivo trasferito il suo vecchio e molto onorevole stereo in cantina, che la musica è meglio ascoltarla con il giradischi piuttosto che con il computer o altre diavolerie, abbandonandosi ad alcuni rituali come estrarre il disco dalla sua custodia e posizionandolo sul piatto, gustarsi la copertina e magari leggere i testi o studiare i credits che trasformano come per magia l’ascolto di un disco in una rilassante liturgia. Inauguriamo allora il dibattito con questo messaggio che è insieme speranza e grido di dolore, insofferenza al modernismo esasperato e tentativo di recupero di emozioni in fondo mai davvero perdute, ricerca di condivisione e desiderio di nuove prospettive verso la musica e il suo modo di ascoltarla.

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