MIKE CAMPBELL & THE DIRTY KNOBS – External Combustion

Mike Campbell & The Dirty Knobs - External Combustion (1)

Mike Campbell & The Dirty Knobs – External Combustion (BMG 2022)

Spiace dirlo, perché Mike Campbell è un personaggio di statura superiore e sarebbe anche un eccellente produttore, come ha dimostrato qualche anno fa assistendo in regia Marty Stuart, ed è uno che dalla chitarra elettrica riesce a cavar fuori suoni fantastici: anteporre il proprio nome a quello del gruppo (contrariamente a quanto era accaduto per il disco precedente) suona come una mossa furbetta per migliorare le cose, senza però cambiare il risultato.

È chiaro che dopo la prematura dipartita di Tom Petty il buon Campbell si sia trovato per così dire disoccupato, ma i Dirty Knobs possono essere considerati tutt’al più un side project fatto per divertirsi. Anche se si fanno produrre da Drakoulias il giudizio non cambia.

Una band da divertimento e, soprattutto, senza idee.

Questo nuovo disco è la logica continuazione di quello che lo aveva preceduto meno di due anni fa, un disco di rock, se vogliamo classico, suonato bene ma con poco smalto. Campbell canta discretamente, la chitarra la suona da dio, ma a comporre canzoni non ha la scintilla di Petty, e ci mancherebbe!

Altrimenti non avrebbe fatto il gregario, se pur di lusso.

Se nel disco d’esordio del quartetto da lui guidato c’era qualche buona composizione (ma si sa, per scrivere i brani dei dischi d’esordio si ha sempre a disposizione molto più tempo che per il secondo, la regola è quasi aurea), qui si fa fatica ad ascoltare il disco dall’inizio alla fine.

A poco serve metterci un po’ di furore rockabilly, quanto meno ci vorrebbe la voce giusta per cantarli, le prime due tracce (Wicked Mind e Brigitte Bardot) suonano abbastanza simili e non hanno guizzi degni di nota, meglio Cheap Talk, dal titolo quasi rubato a Keith Richards, che mette un po’ di sperimentazione nel sound con l’inserimento di archi e fiati (un po’ come aveva fatto Dave Stewart col Tom Petty di Southern Accents), il brano ha comunque un pregevole assolo di chitarra e la prezzemolina ma brava Margo Price ci fa i cori.

Più dura la title track che ha un sound in odor di hard rock su cui Campbell infila la slide. Dirty Job vede la presenza di Ian Hunter a duettare con la voce di Mike e questo fa la differenza oltre a risollevare un po’ le cose, il brano è un rock granitico dal riff abbastanza migliore rispetto al resto. Il lato A si chiude di nuovo con la presenza della Price, State of Mind, questo il titolo della lenta canzone in cui ritroviamo le caratteristiche di Cheap Talk, fiati e archi, l’intervento di Margo è più consistente e aiuta sicuramente il brano che di per sé non è comunque un capolavoro.

La seconda parte inizia con Lightning Boogie, l’ennesimo brano di routine che fa tornare il disco nell’oblio, c’è il piano di Benmont Tench, sì, ma latita la sostanza, tutto è strasentito. In Rat City la voce di Campbell convince maggiormente di quanto nono sia accaduto finora, il livello resta comunque sotto la media, che si risolleva con la languida In This Lifetime, che senza l’urgenza di essere un brano da usare e gettare come buona parte dei precedenti si concentra sui suoni delle chitarre evidenziando che Campbell ve ne suona più d’una. It Is Written paga spudoratamente dazio a Petty, sembrerebbe esserci una tastiera, ma le note di copertina non lo dicono, probabilmente è di nuovo Tench, del resto non viene detto neppure di sia la seconda voce che si alterna a quella di Mike… e pensare che è la produzione di una major! Il disco si chiude abbastanza dignitosamente con la cadenzata Electric Gipsy, brano riuscito e piacevole, di nuovo con tastierista ignoto.

Paolo Crazy Carnevale

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