DON MICHAEL SAMPSON – The Fall of The Western Sun

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Don Michael Sampson – The Fall of The Western Sun (Appaloosa/IRD 2022)

Una carriera discografica di tutto rispetto, quanto a quantità, quella di questo artista particolarmente apprezzato dai colleghi più famosi di lui: non basta però essere molto amati da musicisti di vaglia per essere alla loro altezza, bisogna avere qualche scintilla di personalità in più per uscire dall’anonimato. Don Michael Sampson è un songwriter nella media, autore di brani dai lunghi testi, ha una quindicina di dischi all’attivo, sparsi lungo una carriera cominciata addirittura alla fine degli anni settanta. Non è però mai diventato qualcuno, nonostante la frequentazione di ospiti di rilievo che bazzicano i suoi dischi come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Questo “tramonto del sole occidentale” è l’ultima prova del nostro, registrata tra la città degli angeli e Nashville ed è un lavoro più che potabile anche se estremamente derivativo: Sampson pare sia molto stimato da Neil Young e l’influenza del canadese è davvero molto presente tra le tracce di questo CD.

Innanzitutto la presenza di due artisti molto legati a Young, vale a dire Ben Keith con la sua inconfondibile pedal steel e il batterista Chad Cromwell, poi l’inclusione di tracce come Wedding Song (tra l’altro molto ben eseguita e prodotta, con una bella prestazione di Paulinho Da Costa alle percussioni) che sembra un clone di Helpless o Everybody’s Leaving This Old Town che ha nei cori una voce che sembra molto quella dello stesso Young (capace che per motivi a noi ignoti sia proprio lui sotto mentite spoglie).

L’album pare anche essere il frutto di session sparpagliate nell’arco di parecchio tempo, tenendo conto che Don Heffington (altro batterista impegnato nel disco) è passato a miglior vita lo scorso anno e che Ben Keith lo è da una dozzina di primavere; questa lunga escursione temporale nella produzione del disco finisce col non giovare all’amalgama finale, brani come la ritmata New Book non hanno il mordente di altre canzoni, tipo l’opener Rolling Time Train, una delle composizioni particolarmente impreziosite dalla pedal steel di Keith.

Crimson Sparkle Of High Wind Wheels e Wild Rose Of Florence sono due gioiellini acustici in punta di chitarra e basso, quasi due demo però, Bad Water suona come se Townes Van Zandt, affiancato dalle coriste del Dylan gospel, avesse chiesto l’accompagnamento musicale dei Promise Of The Real (nel disco ci sarebbe anche Warren Haynes, anche se non è indicato con precisione dove suoni), ottimo anche qui il lavoro di Da Costa con le percussioni. Stop Those Tears assomiglia troppo al Dylan di You Ain’t Goin’ Nowhere, anche nell’assolo centrale e questo conferma l’ipotesi fatta in apertura riguardo al fatto che Sampson sia eccessivamente derivativo per poter brillare di luce propria. La lunga, lenta e cadenzata Cast Off The Lines ha di nuovo dalla sua Ben Keith, prima di lasciare la scena all’ultimo brano Sweet Tennessee Nights, buona composizione d’atmosfera country rock che nulla aggiunge ai giudizi fin qui espressi.

Paolo Crazy Carnevale

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