MAHOGANY FROG – In The Electric Universe

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Mahogany Frog – In The Electric Universe (Mafrogany Hog/Moonjune Records 2021)

Devo ammettere che pur non essendo un amante a tutto tondo del genere prog-rock, ero rimasto bene impressionato dalla precedente produzione di questo gruppo canadese su Moonjune Records, un CD interessante intitolato Senna (vincitore di premi e accumulatore di nomination nei vari eventi dedicati canadesi) e databile ormai a ben nove anni fa.

Mi ero chiesto spesso, ricevendo i dispacci dell’etichetta newyorchese con le nuove uscite, che fine avessero fatto i quattro componenti del gruppo, saranno stati ancora in attività, si saranno sciolti, avranno cambiato etichetta?

La risposta è arrivata ad inizio estate quando mi è pervenuto questo disco e facendo un po’ di ricerche ho scoperto che non ne erano stati pubblicati altri dopo Senna, anche se i Mahogany Frog avevano continuato ad avere una regolare attività dal vivo prevalentemente nelle sperdute lande canadesi, ma con qualche puntata anche nella vecchia Europa. In effetti, dalle avarissime note di copertina si deduce che per dare un seguito al disco del 2012, i Mahogany Frog ci hanno lavorato su dal 2013 al 2019, anche se poi a ben sentire il disco fila via senza che la lunga gestazione si avverta.

Graham Epp, Jesse Warkentin, Scott Ellenberger e Andy Rudolph (sono sempre gli stessi) si occupano praticamente di tutti gli strumenti, tutti e quattro sono impegnati con tastiere ed effettistica, i primi due si occupano anche delle chitarre mentre gli altri due rispettivamente di basso e batteria: e la forte, per non dire massiccia presenza delle tastiere è sicuramente la caratteristica principale del disco, in sostanza un buon disco, forse meno efficace del predecessore, ma sicuramente d’effetto. Un disco interamente strumentale con ben due composizioni che da sole superano la mezz’ora ed altre quattro tra i cinque e gli otto minuti: il tutto si va a srotolare come una sorta di suite multiforme che paga debito a tutta una serie di produzione degli anni settanta, talora richiamando alla mente gli Yes (periodo Wakeman), qualcosina dei Genesis, financo i Pink Floyd lunari.

Si inizia in sordina con la musica di Theme From P.D. che cresce poco a poco fino a scatenarsi in un’orgia sonora dominata dalle tastiere, non priva di interessanti spunti, CUbe è più breve, quasi volesse farci riprendere fiato prima del tour de force assoluto di (((Sundog))) che si dipana per quasi diciotto minuti in cui ad un tema di base costruito sul giro del basso di Ellenberger vanno ad aggiungersi le tastiere e gli effetti, i loop tratti da prove di studio e un po’ di rumorismo prima di dare il “la” ad una seconda parte più cattiva e convincente.

Psychic Plice Force si apre con chitarre distorte e dopo un po’ di divagazioni al limite del rock industriale si concretizza in un qualcosa di più convincente che suona come una cavalcata elettronica di grande potenza.

Più interessante Floral Flotilla con una base ritmica molto meccanica che lascia sprigionare una bella introduzione elettrica della chitarra prima di lasciar prendere il sopravvento alle tastiere in odor di Genesis virati metal.

Il disco si chiude con Octavio (ma attenzione, la setlist riportata in copertina non ripropone i brani come li si ascolta sul CD, o sulla versione in vinile), un brano più conforme, meno di rottura ma non meno dirompente in cui tutte le connotazioni prog si fanno sentire prepotentemente, confermando il buono stato di salute dei Mahogany Frog.

Paolo Crazy Carnevale

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