MARBIN – Shreddin’ At Sweetwater

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MARBIN – Shreddin’ At Sweetwater (Marbin Music 2021)

I Marbin sono un pregevole quartetto di base a Chicago che dai suoi esordi a livello indie, contando sul passaparola tra i fan si è conquistato una credibilità, fondata su un’intensa carriera concertistica e su una decina di dischi, i primi tre (dopo l’esordio autoprodotto) per la Moonjune Records, dopo di che hanno fondato la loro etichetta che da cinque anni in qua si occupa oltre che del gruppo anche dei progetti solistici dei singoli componenti.
Innanzitutto il quartetto ha due leader, Dani Rabin (chitarra) e Danny Markovich (sassofono) che sono gli ideatori di un sound riuscito che gioca sul connubio tra jazz-rock, prog e musica yiddish; a loro si affiancano poi il bassista Jon Nadel e il batterista Everette Benton Jr., che forniscono una solida e fantasiosa base ritmica su cui i due leader sviluppano le loro idee.
Costretti dalla pandemia ad annullare la maggior parte dei concerti previsti lo scorso anno, i Marbin – che di concerti ne tengono circa 150 all’anno –, dopo otto mesi di inattività hanno puntato su un concerto a porte chiuse svoltosi allo studio Sweetwater; estasiati dalla bontà del risultato alla faccia della lunga astinenza, in un secondo tempo hanno deciso di darlo pure alle stampe, un po’ per raggiungere tutti quei fan impossibilitati ad assistervi o a muoversi, un po’ per tenersi sul mercato in mancanza di un nuovo tour all’orizzonte.
Questo inusuale live senza applausi, si apre con una composizione di grande impatto intitolata Messy Mark in cui Rabin si concede alcune ispirate virate in stile blues.
Con Whiskey Chaser Intro e Whiskey Chaser, i Marbin ci regalano un tuffo tonificante nelle loro sonorità più tipiche col sax di Markovich alle prese con un tema ispirato dalla musica ebraica, dapprima con una lenta introduzione del solo Markovich, poi con il brano vero e proprio che si scatena in una sorta di futuristico bar-mitzvah in chiave bolero.
Le atmosfere del brano precedente si ritrovano anche nella riuscita The Old Ways, con un bell’alternarsi tra la tradizione dettata dal sax e il modernismo della chitarra elettrica.
Per contro, Escape From Hippie Mountain è una divagazione d’impronta più deliberatamente free, così come la successiva Electric Zombieland, caratterizzata comunque da un tema più riconoscibile.
The Way To Riches è una più breve composizione d’impronta puramente jazz-rock che lascia spazio quasi in totalità alla chitarra elettrica e alla batteria, le fa seguito una grande rilettura del brano che intitolava il primo disco del gruppo per la Moonjune, Breaking The Cycle, una di quelle composizioni che mediano sapientemente i vari stili che si fondono nella musica dei Marbin, altamente elettrico, una sorta di yiddish-rock di grande respiro. Da applausi.
Arkansas Jumper è poi una cavalcata sorretta da un basso quasi funk, in cui il jazz incontra il progressive, poi la conclusione con i dieci minuti di Splaw permette alla formazione di imbastire una complessa e affascinante composizione in cui fa capolino prepotentemente anche la vena blues della chitarra di Rabin, creando un sottile filo conduttore col brano che aveva aperto il disco.

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