MOLLY TUTTLE – …But I’d Rather Be With You

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Molly Tuttle – …But I’d Rather Be With You (Compass 2020)

Terzo disco per la chitarrista e cantante Molly Tuttle, disco registrato ed uscito nel corso delle restrizioni dovute alla pandemia che ha messo in ginocchio un po’ ovunque le attività musicali, soprattutto quelle di chi non ha grosse rendite (vedi royalties e dischi d’oro) e deve fare i conti con una quotidianità in cui, senza i concerti e i dischi che ai concerti si vendono, andare aventi è assai difficile.

La Tuttle, californiana ma di stanza da tempo a Nashville, si è messa quindi al lavoro in casa, assemblando un disco in solitudine, facendosi guidare a distanza dal produttore Tony Berg (che sta a Los Angeles), e con l’aiuto di proTools e di pochi ospiti ha registrato una manciata di canzoni pescate tra le sue favorite di sempre.

Il disco in verità è gradevolissimo, molto curato nella creazione di equilibri tra la bella voce folk-pop di Molly e il suono della sua chitarra. Alcuni brani rendono molto bene, altri lasciano un po’ il tempo che trovano, come spesso accade nei dischi di questo genere, che ad un genere vero e proprio non appartengono visto che il fil rouge è costituito dall’interprete che non sempre riesce a tracciarlo.

Ad esempio, la cover di Fake Empire dei National che apre il disco non ha mordente e soccombe al cospetto della successiva Ruby Tuesday di rollingstoniana memoria, brano di tutt’altra pasta in cui Molly piazza una notevole chitarra acustica: è chiaro che i National stessi soccombono al cospetto di Jagger e soci, ma qui è proprio il brano ad essere in tono minore. Buona invece A Littel Lost di Arthur Russell, molto intime Something On Your Mind di Karen Dalton, con un violino malinconico suonato da Ketch Secor degli Old Corw Medicine Show, e la minimale Mirrored Heart.

Più coinvolgenti senza dubbio la rilettura di Olympia, WA dal repertorio dei Rancid con la voce di Secor a fare il controcanto, e Standing On The Moon, rubata al repertorio tardivo dei Grateful Dead e resa in una bella versione molto suggestiva, sempre con Secor ospite e proprio da un verso di questo brano è preso il titolo del disco, che metaforicamente fa riferimento alla situazione pandemica: come dire, sono qui, ma preferirei essere con te.

Tra gli altri ospiti ci sono – rigorosamente ognuno da casa propria – il chitarrista dei Dawes Taylor Goldsmith, il tastierista Patrick Warren e alla batteria Matt Chamberlain.

Il disco procede con l’energica ma non memorabile Zero degli Yeah Yeah Yeahs, con la più rilassata Sunflower di Harry Styles, quasi tutta giocata su voce e chitarra acustica, e si chiude con la riuscita How Can I Tell You di Cat Stevens, sorretta da voce, chitarra e violino (sempre Secor), cantata dalla Tuttle con grande sentimento, nel solco delle grandi cantanti californiane degli anni settanta.

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