CHARLIE CINELLI – Nüd e crüd

JoshuaStorm-DGpack

Dopo l’acclamato Rio Mella, sempre su etichetta Appaloosa e orientato verso una rilettura in chiave padana della musica d’Olteroceano, con tanto di partecipazioni di autentici specialisti del genere, il poliedrico Cinelli torna a colpire con un prodotto più spartano in cui se vogliamo, il progetto di fondo del disco precedente viene ribaltato, stavolta il verbo è adattare al folk blues ruvido e rurale da basso Mississippi quel dialetto bresciano che Cinelli ha sempre usato nella sua musica.

Forte di un curriculum vitae altisonante che lo ha visto collaborare col fior fiore della scena musicale nazionale, Cinelli può qui permettersi di dominare perfettamente un genere tradizionale, avvalendosi dell’aiuto del solo Dan Martinazzi: chitarre acustiche, chitarre resofoniche, chitarre artigianali a quattro corde note come cigar box, una spolverata di percussioni e contrabbasso, ma tutto eseguito in solitudine da Cinelli e Martinazzi.

La dozzina di canzoni messe insieme per questo disco sono assolutamente godibili, e se tutto è cantato in dialetto bresciano, non è difficile pensare a certi personaggi qui raccontati trasposti in una realtà più americana, un po’ quasi a dire che tutto il mondo è paese e certe situazioni che qui sembrano proprie della provincia lombarda non sono difficili da immaginare nella profonda provincia americana, come quella cantata spesso dolentemente da Michael McDermott (compagno di scuderia di Cinelli).

E allora ecco sfilare l’invasivo cugino Piero Costù, l’arzillo nonno che occupa l’osteria per festeggiare i novant’anni, l’infermiera amorosa, Bortolo con un occhio solo e Maria la Unta, il pascolatore di capre Robinson o il vecchio capitano protagonista di un contagioso country folk. Ma c’è anche l’inattesa e riuscita trasposizione dialettale della poesia di Carducci San Martino (!) resa qui come un lento blues. E che dire di Bèla Cità che non può non ricordare il De André di Volta la carta. In Stambaladù invece, su una base jazz da cantina si raccontano le stramberie di una serie di personaggi legati invece a diverse località della provincia bresciana. El büs ha un testo surreale, per contro la seguente El mort en guèra suona giustamente come una marcia funebre in dialetto strettissimo.

Zo’ dè corda è un blues, più che nella forma musica nei contenuti, con la storia di un valligiano migrante, a chiudere il disco c’è invece Skiamatsi rilettura di un fatto di cronaca di metà ottocento, riletto in chiave a metà tra stornello e talking blues.

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