SHEMEKIA COPELAND – America’s Child

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SHEMEKIA COPELAND – America’s Child (Alligator 2018)

Grande connubio quello che ha portato alla pubblicazione di questo signor disco; tanto di cappello all’Alligator, un’etichetta sempre al top nell’ambito del blues, sia elettrico che più legato alla tradizione. L’abbinata tra la voce e la grinta della Copeland con la chitarra e la zampata caratteristica da producer scafato di Will Kimbrough (peraltro già collaudata nel disco precedente della cantante) è davvero al fulmicotone.

La trentanovenne vocalist newyorchese ed il chitarrista dell’Alabama sembrano fatti apposta per fare coppia, almeno su disco. Rispetto ad altri dischi di Shemekia (che, ricordiamo, è figlia del chitarrista Johnny Copeland), Kimbrough dà al disco un sound più virato verso il sound americana, senza però snaturare l’humus da cui la Copeland proviene, e anche laddove s’inseriscono illustri colleghi, come ospiti, come autori o in entrambe le vesti, il blues elettrico e lo stile vocale di Shemekia restano le costanti dominanti di questo America’s Child, il cui titolo dice già tutto su quanto ci dobbiamo attendere.

Kimbrough non ci mette solo la sua lancinante slide, ma tesse all’organo trame spesse e robuste che costituiscono l’essenza del disco, e per aggiungervi un tocco notevole in più firma buona parte del materiale nuovo.

Un disco robusto, un disco bello che si apre già alla grande con Ain’t Got Time For Hate, quasi un titolo programmatico, la solista di Kimbrough duetta con la pedal steel dell’immenso Al Perkins e a fare i cori ci sono Mary Gauthier, Emmylou Harris, John Prine e Gretchen Peters. E quindi, giù il cappello da subito. Ottima anche Americans, firmata dalla Gauthier che ci mette anche la voce nei cori, qui l’atmosfera è meno ruvida e alla pedal steel c’è il Paul Franklin di knopfleriana memoria.

Bene anche Would You Take My Blood, meglio ancora la scoppiettante Great Rain firmata dall’arzillo John Prine che, alla faccia dell’età e delle magagne, si concede un bel duetto con Sjemekia: le chitarre sono di nuovo di Perkins e Kimbrough, che passa poi alla National nella successiva Smoked Ham And Peaches, di nuovo della Gauthier, brano dalle atmosfere più intime che vede ospite Rihannon Giddens al banjo africano. Gran bella canzone.

Quasi rockabilly l’idea di base di Wrong Idea, altra composizione ben costruita e ancor meglio resa, con un indovinato inserimento del violino di Kenny Sears. Con Promised Myself scatta il doveroso omaggio della Copeland al padre Johnny, che ne è l’autore: il rock lascia lo spazio ad una soul ballad, intensa, lenta, avvolgente, bella, con tanto di cameo di Steve Cropper alla chitarra.

Di nuovo rock è invece l’atmosfera di In The Blood Of The Blues, mentre Such A Pretty Flame è un blues notturno e urbano che non starebbe male nei titoli di testa di un Bond-movie, con la pedal steel di Perkins che ulula nell’oscurità duettando con la solista del producer.

Buona anche One I Love, con l’armonica di J.D. Wilkes, molto ben cantata, come del resto anche la riproposta della kinksiana I’m Not Like Everybody Else che in questa lettura ci ricorda quanto americani fossero Ray Davies e soci già nel 1965 quando il brano debuttò su Kinkdom.

La chiusura è intima, solo la Copeland quasi in chiave a cappella, non fosse per l’intro di Kimbrough, alle prese con la ninna nanna Go To Sleep Little Baby.

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