WHITERWARD – The Anchor

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WHITERWARD – The Anchor (Whiterward/Hemifran 2017)

Questa formazione, facente capo a due cantautori – la bionda Ashley E. Norton e il nero Edward Williams – è sulla breccia da qualche anno, in maniera assolutamente indipendente, muovendosi nell’ambito di quell’indefinibile groviglio musicale che è il genere Americana. Negli ultimi tempi il gruppo si è consolidato in un quartetto dalle incredibili capacità e sonorità che oltre ai due cantanti e autori include il bassista (acustico ed elettrico) Patrick Hershey e la polistrumentista Stephanie Groot (viola, violino, mandolino, xilofono): proprio questa formazione ha realizzato The Anchor, il proprio sforzo più recente, uscito lo scorso anno e ancora in promozione, tanto che sono in previsione anche dei concerti europei per il 2019, e chissà che qualcuno accorgendosi di loro non provi a portarli anche in Italia. La musica dei Whiterward – mi piace pensare che sia una sorta di folk-rock da camera – sfugge abbastanza alle definizioni: ci sono influenze che li collocano in molti filoni, ma sostanzialmente il bello di quanto possiamo ascoltare in questo disco è proprio l’essere originale e, al di là delle similitudini e dei rimandi, di suonare molto personale. Le voci dei due sono molto caratteristiche e il mélange che si crea è come se le Indigo Girls incontrassero Steve Wynn, magari qualche brano ricorda anche da vicino le Indigo Girls, complice l’uso degli archi, ma l’approccio è meno folkie. Anzi, nei primi brani si fatica a comprendere dove il disco voglia andare a parare, per via dell’uso di un po’ di elettronica ed effettistica applicata alla chitarra elettrica ma è subito evidente quanto contino l’affiatamento degli archi e le voci diversissime delle varie chitarre elettriche. L’iniziale title track è già una buona composizione, anche se la successiva Free non quadra troppo. Il disco si riprende subito con Deaf, Dumb And Blind che rimette le cose a posto. Dopo Burn The Roses, la breve Interlude prepara il terreno per una lunga sequenza di brani da ricordare: Are You There? funziona egregiamente, con dei bei cori e suoni che calzano come un guanto, il mandolino che si inserisce alla perfezione e il leggero tocco del batterista Tony King, presente in parecchi brani; non da meno è Haunted By Me (dove il paragone con il duo di Amy ray e Emily Saliers è più evidente) costruita molto bene e a sua volta da annoverare tra i migliori momenti del disco. Parallel Universe, con un bel solo di chitarra elettrica e con la partecipazione del rapper Jhan Doe osa verso territori più pop, sempre profondamente legati al sound del quartetto. In Nepew la Norton sfoggia un cantato che ricorda certa enfasi di Freddy Mercury, ma state tranquilli, il suono è sempre quello dei Whiterward. Sempre lei dà la voce a Teeth, bella ballata blues con tastiere e solo di chitarra acido. Poi il microfono passa a Williams che tira fuori una voce per Isadora composizione acustica con la Groot allo xilofono. Acustica è anche la seguente The Night I Fell For You, chitarra arpeggiata e la voce di Ashley, eseguita quasi in punta di piedi, il contrabbasso che dialoga col violino ed un coro in crescendo che inspessisce il risultato. Un brano da applausi. Il finale è affidato alla pianistica e riuscita Wasteland, sempre scritta da Ashley, con tanto di effetto LP che salta nel finale e con la puntina che gratta a vuoto il vinile sulla brusca interruzione. Un nome, quello dei Whiterward, da segnarsi in agenda.

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