AA.VV. – The American Epic Sessions

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Various Artists – The American Epic Sessions (Lo-Max/Columbia 2017)

Un progetto ambizioso quello prodotto lo scorso anno da un trio di autentici illuminati. Robert Redford, Jack White e T-Bone Burnett hanno infatti unito le forze per realizzare un documentario in tre parti, un film ed una serie di dischi ad essi collegati. Il tutto con lo scopo di restituire a cultori e appassionati, ma anche ad ascoltatori curiosi, i suoni dell’America delle origini. Il lancio pubblicitario di questa operazione è infatti “quando l’America si è ascoltata per la prima volta”, e tutto prende il via da quegli anni venti in cui le nuove tecnologie permisero di registrare i primi dischi con la musica tradizionale. Nelle tre parti del documentario vengono prese in esame differenti canzoni che vanno dal blues del Delta, alle canzoni dei nativi, a quelle dei francofoni della Louisiana e dei creoli, degli ispano-americani, degli hawaiani fino, naturalmente alla musica degli Appalachi, quella della Carter Family e Clarence Ashley per intenderci.

Il risultato è veramente incredibile vista la quantità di musica contenuta nelle circa tre ore della durata del documentario, ogni artista è analizzato e studiato con dovizia, con abbondante ricerca di immagini di repertorio e qualche assaggio di quello che poi sarà il film con le session di cui questo disco è il compendio: Jack White, Burnett e gli altri produttori musicali dell’opera sono riusciti a ricreare le atmosfere delle origini, soprattutto usando stesse tecniche di registrazione dell’epoca a cui ci si riferisce, niente digitale, vecchi microfoni, vecchie tecniche, vecchi umori catturati proprio assemblando un macchinario unico al mondo che restituisce intatte certe sonorità.

Per realizzare il tutto hanno ovviamente coinvolto musicisti contemporanei, sposando talvolta suoni antichi con generi moderni, talvolta con successo tal altra con esiti più discutibili personalmente devo dire di non apprezzare troppo il coinvolgimento del rapper NAS, ma si tratta del mio gusto.

Ci sono vecchi leoni come Taj Mahal, Willie Nelson, Bettye Lavette, Merle Haggard e nuovi nomi come Avett Brothers, Alabama Shakes e Beck.

Come si diceva gli esiti sono alterni, come spesso avviene per questo tipo di operazioni: sicuramente si elevano le due performance di Bettye Lavette, Nobody’s Dirty Business e When I Woke Up This Morning, il Saint Louis Blues di Pokey Lafarge, la classica Come On My Kitchen di un solitario Stephen Stills in gran forma (assente però dal documentario). Onestissimo Taj Mahal, così come lo sono Rihannon Gidens, che rifà il tradizionale Pretty Saro, il duo Nelson/Haggard che presenta due brani, uno dei quali originale e Rapahel Sadiq con Stealin’.

Sul versante dei contributi ispano-americani, brilla Mal Hombre, un classicone interpretato con il giusto approccio da Ana Gabriel, mentre non mi dice molto la performance dei Los Lobos con Cascabel. Molto meglio gli Hawaiians che riportano a splendere Tomi Tomi, vecchio successo di Sol Hopii che qui abbonda, giustamente, di lap steel e ukulele. Buono anche il contributo di Beck che interpreta Fourteen Rivers, Fourteen Flood. Convincono meno gli Avett Brothers, mentre l’inedito duo Steve Martin/Edie Brickell riesuma una piacevolissima The Coo Coo Bird. Fanno bene il loro dovere anche il producer Jack White, qui alle prese con Mama’s Angel Child, e gli Alabama Shakes che aprono il disco con Killer Diller Blues.

Per chi volesse poi riscoprire il fascino degli originali, sono in circolazione varie altre pubblicazioni collegate al progetto, con molta più carne al fuoco, tutta basata su registrazioni davvero antiche.

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