SUE FOLEY – The Ice Queen

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SUE FOLEY – The Ice Queen (Stoney Plain Records/IRD)

Canadese di nascita ma texana d’adozione, Sue Foley è una cantautrice dall’animo profondamente blues che al tempo stesso ha assorbito quelle sonorità rock della sua patria adottiva: se dunque questo disco vuole fin dal titolo essere un omaggio a Albert Collins (detto the Iceman), non si può non considerarlo a pieno diritto anche un disco rock, più che blues, nonostante la presenza in veste di ospite di un personaggio come Jimmie Vaughn, che duetta in un paio di brani con la titolare.

Il disco arriva ben sei anni dopo il suo predecessore, ma ascoltandolo si può dire sia valsa davvero la pena di attendere: il sound è robusto, tosto, la Foley, non più di primo pelo come si suol dire, è una cinquantenne agguerrita con le unghie ben affilate e il disco suona bene fin dall’iniziale Come To Me in cui l’accompagnano la voce e la slide di Charlie Sexton, meglio ancora, con qualche reminiscenza di Lucinda Williams, è la successiva 81, sempre con Sexton e con un bel contributo dell’organo suonato da Mike Flanigin, mentre alla batteria è da citare il veterano George Rains, texano dal curriculum più che eccellente.

Meno interessante Run, mentre la title track è un lungo, ben riuscito, sofferto blues che evidenzia le doti chitarristiche della Foley, che nel brano successivo, The Lucky Ones, duetta in un classico stile Texas blues insieme a Jimmie Vaughn, raccontando della sua terra d’origine e di quella icui ha deciso di stabilirsi. Quasi blues da garage lo stile spolverato in Gaslight, in cui fa capolino anche la sezione fiati dei Texas Horns, mentre per il brano seguente, Fool’s Gold, per altro non entusiasmante, per dare man forte con voce e chitarra, viene chiamato nientemeno che Billy Gibbons, qui distante dalle atmosfere degli ZZ Top. Meglio If I Have Forsaken You, di nuovo con Vaughn e robuste siringate d’organo, e la classica Send Me To The ‘lectric Chair, resa celebre da Bessie Smith, ma interpretata in seguito da molti altri, incluso David Bromberg. Con Death Of A Dream l’atmosfera si tinge di jazz acustico, sicuramente d’effetto ma troppo distante dal resto del disco, così come lo sono anche la latineggiante The Dance e la conclusiva Cannonball Blues, un brano della tradizione appalachiana.

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