SHARON JONES AND THE DAP-KINGS – Give The People What They Want

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SHARON JONES AND THE DAP-KINGS – Give The People What They Want (Daptone 2014)

L’attacco di Retreat!, il brano con cui questo disco s’inaugura, è di quelli che pigliano subito: la chitarra e la batteria, poi il cembalo e la voce che entra protagonista con l’eco della sezione fiati ed un basso di quelli che pompano. Se fossimo negli anni sessanta l’impressione sarebbe quella di trovarci al cospetto di un disco vincente di casa Motown. Senza dubbi!

Solo la qualità e la pulizia del suono ci possono riportare al presente, perché il disco ed il suo singolo (ammesso che si possa usare ancora questo termine parlando di supporti musicali non fisici) sono proprio pensati e suonati con la mente all’epoca d’oro di certe sonorità. D’altra parte per una voce come quella di Sharon Jones non si poteva fare diversamente: la storia forse è nota, la Jones (scomparsa lo scorso novembre all’età di sessant’anni) è assurta a notorietà nel campo rhythm’n’blues solo una decina di anni fa, dopo aver fatto per anni la guardia carceraria a Rikers e la portavalori per la banca Wells Fargo, tentando inutilmente di sfondare nel music business.

La leggenda vuole infatti che quando era giovane nessuno dell’ambiente discografico volesse filarsela e ci sono voluti decenni prima che qualcuno abbia deciso di darle credito. Per fortuna.

Nella sua breve carriera la Jones è riuscita a pubblicare sei/sette dischi, accasandosi presso la Daptone Records, piccola etichetta newyorchese dai grandi prodotti e dal gran gusto: le è stato cucito addosso un gruppo di professionisti sotto il nome di Dap-Kings, alla stregua delle house band delle label di una volta, tra i quali spicca il nome di Bosco Mann, polistrumentista, produttore, autore e autentico direttore dell’ensemble che accompagna la Jones.

Il risultato è da inchinarsi e scappellarsi, sembra di essere tornati indietro di quarant’anni e più, i Dap-Kings sono una macchina da ritmo (non è un caso se Bosco Mann e il gruppo sono anche dietro quel gran disco che è il Back To Black di Amy Winehouse), la voce di Sharon Jones fa il resto.

Rispetto a lavori precedenti della Jones, in cui il modello di riferimento sembrava essere James Brown col suo funk-soul da battaglia, le atmosfere di questo Give The People What They Want virano verso un rhythm’n’blues più morbido. Il lato A di questo vinile (che fin dalla grafica di copertina e dal pesante cartone della confezione richiamano il passato) è un tripudio dietro l’altro, se il brano citato in apertura ha fatto da traino (fino a portare questo disco alla nomination come miglior prodotto errenbì alla cerimonia dei Grammy), il resto non è da meno, grandi brani sono anche Stranger To My Happiness con un sax vagamente ska e bei cori ad opera delle Dapettes, la scanzonata e contagiosa We Get Along, You’ll Be Lonely composizione di gran carattere e precisa struttura che ne fanno una delle migliori del lotto intero, la possente e varia Now I See, autentico veicolo per i graffi e le carezze di cui la voce della Jones è capace.

Meno d’effetto il lato B, pur restando nell’ambito della buona musica, con qualche virata più pop-soul (proprio per questo il disco è più Motown che Stax oriented), fin dall’iniziale Making Up And Breaking Up, eccellente soul ballad. Tra le cose più in vista di questa seconda parte va citata anche Long Time, Wrong Time, firmata dal sassofonista Cochemea Gastelum.
Forse negli anni settanta, quando la Jones avrebbe potuto emergere come cantante giovane, questo genere musicale era ormai troppo contaminato dai fenomeni disco e dance; per fortuna il ritorno alla musica bella le ha reso onore e gloria almeno nei suoi ultimi anni.

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