KENNEDY ADMINISTRATION – Kennedy Administration

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KENNEDY ADMINISTRATION – Kennedy Administration (Leopard 2017)

Dietro la curiosa denominazione a cui questo dischetto è attribuito, si celano un paio di soggetti piuttosto interessanti come la vocalist Kennedy (non sono dati a sapersi ulteriori dettagli) ed il polistrumentista e compositore ceco Ondre J Pivec (nato Ondrej Pivec): il disco patinatissimo come la sua copertina offre una quarantina di minuti di black music raffinata (anche troppo per i gusti di chi scrive) a cavallo tra pop, lounge, hip hop e un’ombra, appena appena, di funk.

Non si discutono la bravura della cantante né il genio del suo socio che, fin dall’apprezzabile prima traccia, It’s Over Now, si cimentano con un repertorio che ricorda le cose più commerciali di Stevie Wonder se non addirittura certe produzioni di Michael Jackson, complice la vocalità della signora Kennedy, una ragazzona dalla pelle nera e dal look molto trendy.

Da un punto di vista stilistico il disco può piacere o non piacere, la voce di Kennedy ha le sfumature giuste e Pivec è indubbiamente un portento ma non è possibile esprimere un giudizio positivo sul largo uso – soprattutto in una musica in cui il groove è tutto – di campionamenti e diavolerie elettroniche. E difatti i momenti più belli e convincenti sono quelli in cui le tastiere – non quelle campionate o campionanti – si fanno sentire con prepotenza e quelli in cui si possono apprezzare gli inserimenti strumentali di ospiti occasionali, su tutti l’armonica di Gregoire Maret in Don’t Forget To Smile, che sembra uscita dal repertorio di Stevie Wonder.

Quando invece avanzano le batterie programmate, il basso sintetizzato e altre porcherie il disco scade e a poco giova la voce della cantante che più che pantera graffiante (come si addirebbe a questa musica) sembra preferire certe pose da gatta sorniona (per esempio in un brano come Finally).

E a poco giova anche il tirare in ballo un paio di brani d’autori blasonati come l’Al Green di Let’s Stay Together o il Billy Preston di Will It Go Round In Circles, che comunque resta una delle cose più azzeccate dell’intero prodotto insieme alla ballata Victory Song; il disco non fa fatica a lasciarsi ascoltare, magari funziona come musica da sottofondo, ma fatica davvero a lasciare il segno. Peccato.

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