THE COAL PORTERS – No. 6
THE COAL PORTERS – “No. 6” (Prima Records 2016/Hemifran/IRD)
Il vecchio buon Sid Griffin! Un grande della musica Americana, in tutti i sensi, da quella di estrazione garage/psichedelic rock degli esordi alla personale rivisitazione del verbo country rock di cui è sempre stato un seguace attento e irreversibile, fino alla musica contenuta in questo suo ultimo prodotto, inciso con i Coal Porters, la band che ha fondato e che guida dalla fine degli anni ottanta.
Diciamolo subito però, i Coal Porters non sono la band di Sid, ma Sid è piuttosto uno dei Coal Porters, quanto meno in questa versione del gruppo: e diciamo anche che i Coal Porters non sono un gruppo bluegrass come piuttosto sbrigativamente vengono spesso liquidati (non che il bluegrass sia una cosa sbrigativa o trascurabile), quanto piuttosto un progetto musicale che partendo da una strumentazione bluegrass offre un repertorio che sta perfettamente in bilico tra la tradizione americana e quella britannica, qui ben rappresentata dal modo di cantare di Neil Robert Herd, principale collaboratore di Sid in questo disco. Se proprio vogliamo dare una definizione della musica del quintetto, visto il carattere abbastanza intimo delle composizioni, potremmo parlare di bluegrass cameristico. Se il termine vi piace.
Non so a cosa sia dovuto il titolo del disco, questo non è comunque il sesto disco della formazione, che ne ha al suo attivo quasi il doppio anche se c’è un po’ di confusione, perché ci sono quelli di studio, ci sono i tributi live a Gram Parsons e a Chris Hillman, ci sono gli EP, in nessun modo però, sottraendo questo o quello si arriva al numero sei…
Poco importa, ciò che conta è che il disco è buono, dura il giusto (quasi quaranta minuti, come i vecchi LP) e la miscela tra i brani e l’ispirazione a cui sono dovuti sono convincenti. La voce di Griffin è un po’ affievolita ma mantiene le sue caratteristiche, e Herd lo supporta bene, occupandosi in misura uguale della voce solista nella porzione di brani a lui dovuta.
Come si diceva la strumentazione è classicamente bluegrass: mandolino, banjo, chitarra, violino e contrabbasso ma siamo lontani da quello che potremmo definire bluegrass moderno (tipo il The Mountain di Steve Earle), qui siamo alle prese con canzoni vere e proprie, anche lunghe. Si aprono le danze con una delle cose migliori e più spiritose del disco, The Day The Last Ramone Died, dedicata al celebre gruppo punk di New York dei Ramones, una riflessione amara sul fatto che non ne è sopravvissuto neppure uno, con tanto di tipico “Gabba Gabba Hey” nel refrain. Save Me From The Storm firmata e cantata da Herd è invece più composta, impostata, non male ma diversa. The Blind Bartender, lungo racconto di oltre sette minuti è opera invece di Griffin – che in questa versione dei Coal Porters è anche mandolinista – una storia quasi western con tanto di atmosfere morriconiane suggerite dall’inserimento della tromba. Lo strumentale Chopping The Garlic – che razza di titolo! – è firmato dalla violinista Kerenza Peacock (che suona abitualmente anche con la famosissima Adele) ed è forse il brano più bluegrass del lotto, con bei break di tutti gli strumenti, come da copione. Salad Days è di nuovo di Griffin, mentre Unhappy Anywhere è di Herd, molto british ma con un bel dobro suonato da Herd medesimo. Train No. 10-0-5, ancora di Griffin, è il brano che richiama maggiormente alla memoria i Long Ryders, come tipo di composizione, mentre in Play A Tune, la Peacock oltre che autrice è anche cantante e ci offre uno stile vocale spiazzante, molto classico e al tempo stesso molto in libertà anche per via della metrica asimmetrica dei versi, interessante. Si prosegue con un altro brano di Herd intitolato The Old Style Prison Break dalle connotazioni meno british dei suoi altri contributi al disco. La chiusura del disco è affidata ad una cover in chiave Coal Porters del classico degli Only Ones Another Girl Another Planet, quasi a chiudre un cerchio che si era apertsa con la citazione dei Ramones all’inizio: assolutamente riuscita ed in linea con lo stile del quintetto, che oltre ai già citati Griffin, Herd e Peacock si completa con Paul Fitzgerald al banjo e Andrew Stafford al contrabbasso.
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