THE GRAND UNDOING – Sparks Rain Down From The Lights Of Love

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THE GRAND UNDOING
Sparks Rain Down From The Lights Of Love
(Secret Candy Rock Records/Hemifran 2016)

Terza opera per questa formazione del Massachusetts che più che un gruppo vero e proprio sembra essere un’emanazione del cantante, chitarrista e autore di tutti brani, rispondente al nome di Seth Goodman.

Copertina fantasiosa ma forse eccessivamente anonima – non vi figura neppure il nome del gruppo – ricavata, come tutto il booklet accluso, da fotografie opera del medesimo Goodman, a riprova di quanta parte egli abbia in questo ensemble, tanto da essere l’unico personaggio ricorrente in tutte e dieci le tracce qui incluse.

Fin dalle note di copertina viene dichiarato l’intento di fare un disco di grande pop-rock, a dimostrazione che Goodman ha le idee chiare riguardo alle proprie mire: operazione riuscita, oppure missione compiuta. Che il pop-rock piaccia o non piaccia, qui ci troviamo davvero di fronte ad una bella proposta, molto british per essere opera di una formazione yankee (chi è più yankee dei bostoniani del Massachusetts, culla della rivoluzione americana?), echi di sonorità d’altri tempi, della psichedelia spensierata degli anni sessanta ma anche di quella recuperata su entrambe le sponde dell’oceano Atlantico negli anni ottanta, il tutto approntato alla bisogna di fare breccia nei cuori e nelle menti dell’ascoltatore contemporaneo.

Certo, tra gli intenti dichiarati da Goodman c’è anche quello di dire cose importanti attraverso i suoi testi, e qui non mi sembra di aver riscontrato particolari risultati, ma parliamo di dischi e quel che deve emergere è comunque la musica.
Oltre a tutti gli strumenti che devono esserci in un disco pop-rock, vale a dire chitarra, basso e batteria con un po’ di tastiere, Goodman ama mescolare le carte con l’inserimento di percussioni, seminando qua e là archi e fiati, senza mai appesantire troppo l’amalgama finale di questo disco dal lungo titolo.

Belle le iniziali Sing Yourself Home e Key Biscayne, che ci mettono subito di fronte alla particolare voce del leader (o titolare che dire si voglia), ma molto intrigante è anche Falling From A Plane, in cui il violino lavora molto bene, mentre la più raccolta Lady In Grey vede comparire anche il violoncello. I brani più d’impatto sono Most Of All We Just Go Around che arriva solo a metà disco, e la title track. Due belle canzoni dai refrain accattivanti ed al tempo stesso con una bella costruzione sonora che valorizza i suddetti refrain.

Ma la sorpresa arriva con le due tracce finali in cui fa capolino nell’oculata scelta sonora di Goodman persino la pedal steel guitar di B.J. Cole, storico membro di formazioni britanniche dedite negli anni settanta al country-rock: naturalmente Cole si inserisce alla perfezione nel contesto, seguendo i dettami di taluni colleghi di strumento californiani che della pedal steel avevano fatto un grande veicolo per la musica sognate e dilatata che si produceva alla fine dei sixties nei dintorni di San Francisco e di cui non serve dirvi altro. The Winter, in particolare, dove la chitarra a pedali si fonde bene col sax di Dana Colley, e Anyway The Wind suggellano degnamente il disco grazie proprio all’apporto di Cole, un personaggio che fa sempre piacere rincontrare tra le tracce o i solchi di un disco.

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